"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

E così la deprivazione culturale, cioè l’essere cresciuti in scuole di periferia o sobborghi tipo Bronx, non è minimamente paragonabile alla deprivazione culturale. Quella cioè per cui il linguaggio, se ancora c’è, è completamente mistificato, impoverito, ridotto a ripetizioni vuote e monotone di concetti banali che qualcuno ha messo in pista e deciso che siano la ‘mentalità corrente, al passo coi tempi.
Poco tempo fa il Corriere dava spazio alla notizia che un giovane nato e cresciuto a Quarto Oggiaro, grazie al suo PM, cioè l’accusatore nei suoi vari processi e a causa del quale era finito a più riprese in riformatori, si era laureato in Scienze dell’educazione.
La cosa incredibile era che il giovane si fosse fatto accompagnare proprio dal suo PM in aula il giorno della Tesi e che dicesse semplicemente grazie a chi lo aveva mandato in galera.
Era il ragazzo stesso a spiegare cosa fosse accaduto, grazie allo stop alle sue bravate che il PM gli aveva imposto bloccandolo in galera.
Era accaduto che si era dovuto porre delle domande e che per rispondere alle quali il suo linguaggio povero e approssimativo di cui era stato attrezzato nascendo e vivendo nel quartiere da dove proveniva non era mai stato in grado di fornirgli gli estremi, la comprensione.
Aveva letto tanto, studiato, cioè si era appropriato di idee nuove per lui e, grazie alle parole di altri che aveva dovuto leggere ed imparare per diventare quello che ambiva diventare, liberatorie: non era solo quel ragazzo vestito con la divisa del furbo che, da furbo, spacciava per far la grana e stazionava le ore e i giorni a sprecare il tempo su una panchina, lui era anche un ‘altro’.
La PM (infatti il magistrato che lo aveva sempre invariabilmente fatto condannare, era una donna) si era incaricata di assolvere al ruolo che il politicamente corretto, cioè l’impoverimento di qualunque senso etico grazie alla svalutazione delle parole, le parole per dirlo - dire ciò che conta-aveva eliminato dalla sua/nostra vita.
Così - forse - da adulto avremo un galeotto in meno.
Tanti altri che galeotti sono ora, avrebbero dovuto incontrarlo prima il loro personale PM, quando era ancora possibile sentirsi dare un divieto senza trasfigurarsi in un perseguitato politico internazionale.
Questo tipo di ‘perseguitato’ è infatti afflitto da mancanza di ‘parola’. Non possiede alcun linguaggio, per lo meno alcun linguaggio adeguato.
Ed è il giovane neolaureato di Quarto Oggiaro a dirlo.
Poche parole: poca voglia di parlare: poca comprensione delle cose.
Le cose infatti per noi umani si colgono attraverso i concetti e i concetti sono alla base delle idee.
Poche idee: poche parole: poca o pochissima comunicazione.
Solo quanto occorre, come tra i primati, per grugnirsi in faccia le proprie immediate esigenze animali.
Se il proverbio dice:” A buon intenditore, poche parole”, in realtà qui si intende nel senso molto più triste di “Poche parole, poche conoscenza di sé e del mondo”.
È dall'uso, o dal non uso, delle parole in maniera approssimativa e dispregiativa del vero linguaggio, che nasce la mistificazione.
Quando i concetti vanno da una parte e le parole, il flatus voci, dall’altra.
La cosa disturbante e tragica è, invece, che chi guida il mainstream sappia benissimo che effetti corrispondono a determinati vocaboli e ce li lanci come segnali-riconoscimento scatenanti ad arte ogni reazione desiderata.
Questo è il linguaggio che sostanzia il dialogo tra e con le scimmie ammaestrate.
È deprivato mentalmente - se anche può vantarsi di non esserlo ‘culturalmente’ - colui che, come in questi drammatici ultimi giorni, abbiamo purtroppo veduto tutti, davanti all'esigenza razionale di mettere in quarantena chiunque arrivasse dalla Cina, bianco, giallo o rosso che fosse, ha ritenuto lesivo dei ‘diritti’ umani altrui prescriverlo.
Un ‘diritto’ che, mutando geneticamente il senso dell’idea ad esso sotteso, si configura sempre più solo come assenza di qualunque dovere.
Dovere nei confronti del prossimo prima di tutto e, quindi, verso sé stessi.
Moriranno gli altri.
Ma, poi, creperò anch'io.
Sia pure con tutti i miei ‘diritti’.