"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Anche quest’anno: è Primavera.
Sono uscita per la breve ronda quotidiana consentita e, è inutile, era Primavera.
Si sentiva, è vero, la dolcezza unita al timore, in questo 21 marzo 2020, di essere troppo felice di sé che aveva quest’aria delicata.
Ma era tutto tiepido, e color rosa.
Sì! Come nelle illustrazioni dei libri di quando eravamo bambini.
Ed è Primavera.
Anche quest’anno. 

DISPERAZIONE DI UN VIRUS

Come penso tanti, in questo periodo, anch'io mi sono trovata a provare ad immaginare chi e che cosa fosse veramente un virus.
Dirò di più: mi sono chiesta sovente che volto veramente avesse questo coso che - come lo descrive un noto giornalista - ci viene presentato da giornali/TV/ e quant'altro, con una bizzarra forma a mezza via tra la cubomedusa e una mina antiuomo.
Così, per il bisogno innato negli esseri umani di guardare in faccia la morte, il mostro, colui che ci viene incontro col braccio levato armato di coltello per colpirci, mi sono industriata a fare ricerche.
Ricerche ovviamente sur place, via internet.
E ho trovato delle notizie su di lui, ovvero sulla nozione di virus, che mi hanno spiazzato…
Non certo perché mi abbiano rivelato verità ‘alternative’, foriere di qualche speranza che il Tiggì non riesce a darci, ma per il semplice fatto che, anche per quanto riguarda un virus, si tratta…di vita!
È sempre di lei che si finisce per parlare: la vita!
Sì, un “virus” altro non è – pare - che un mozzicone di vita, una sorta di brandello di RNA o DNA, il quale- detto in soldoni- dopo essere venuto al mondo, si ritrova senza corpo, senza organi, senza attributi necessari a mantenersi nello stato in cui, tentativo semiabortito, ma -appunto - di vita, si è venuto a trovare.
Non lo ha chiesto certo lui - questo brandello di materia fornita di codice genetico amputato ma vivente - di venire al mondo.
Esattamente come ognuno di noi ci si è ritrovato.
Forse, in seguito al famoso Big Bang, per cui, da una massa informe qualcosa chiamato ‘materia’, ha preso ad esistere.
Dio-un bel giorno del tempo senza tempo- ha messo in moto quella che, poi, sarebbe diventata la ‘vita’. Dall'esplosione in poi, da quel momento zero, è partito tutto.
Figuriamoci che - a me vengono i brividi a pensarci - dei rilevatori meccanici di frequenze per noi inconcepibili umanamente- registrano tuttora un’onda vibratoria, estrema propaggine di quella spinta iniziale…
Dunque, tutto quell'inorganico marasma primordiale ha cominciato ad organizzarsi, a mettersi in moto verso forme evolute di esistenza.
E - ammesso che noi umani si possa esser chiamati ’evoluti’ - siamo giunti a quello che è il mondo da noi abitato e conosciuto.
C’era qualcuno - però - che, nella forsennata corsa ad organizzarsi, a darsi una forma, a produrre degli apparati, delle funzioni per incrementare la vita di cui era portatore, non gliel’ha fatta…
Erano i virus…
Queste rozze e mal sviluppate sostanze, condividono con noi la cosa fondamentale: la vita.
I virus non sapranno mai che vivere è piangere, amare, ridere e raccontarsi delle avventure.
Non capiranno mai che c’è stato qualcuno che, a partire dal suo DNA, ha prodotto la Madonna Sistina o il Ponte Vecchio a Firenze (solo per citare due cose qualunque…).
I virus però, ostinatamente, a questa vita ci tengono!
Ora che se la ritrovano, monca, sbrecciata, mai evoluta oltre l’informazione genetica che si ritrovano a dover reggere, ora, dicevo, vogliono vivere.
E, non avendo organi preposti allo scopo, impossibilitati a riprodursi e conservarsela, questa indicazione genetica alla vita ricevuta come input imprescindibile - al pari di tutti noi - devono attaccarsi disperatamente a chi, invece, ce la fa: le forme di evolute di vita.
Noi.
Si può conviverci coi virus.
E infatti ci conviviamo.
È storia di tutti i giorni, per quanto riguarda i virus conosciuti.
Sono come randagi dell’evoluzione, scarti del grande ordine vitale che tutti (purtroppo anche loro) ci abbraccia.
Ma, avendoci da convivere, dobbiamo anche saperceli gestire.
Quando ne arriva uno ignoto, siamo fatti a pezzi.
Loro, i virus, però vogliono ‘solo’ vivere.
Ambizione smisurata e folle!
È vero che lo possiamo anche capire…: se sei un DNA o un RNA, per quanto raffazzonato e scombinato, lo sei per vivere…
È il codice dell’esistenza, quella formuletta lì.
Però, i virus, non possono farcela.
Da soli non possono farcela.
E, naturalmente, qualora chi venisse scelto per aiutare loro a farcela, non gliela fa a sua volta, bè, allora moriranno entrambi: virus e quello a cui lui si è rivolto.
Nello scenario attuale, tutto mi immaginavo di incontrare, soprattutto ero pronta all'incontro con un ‘cattivo’ che - se non io - qualche prode super medico armato di bisturi e provetta piena di reagente in mano, avrebbe sconfitto.
E lo spero e lo invoco ogni istante.
Lo invoco quando vedo - oltre alle file di bare che si allungano - le file di gente la quale, per nutrirsi, sta ore ed ore ad aspettare che il suo simile sgombri il posto per fare, a sua volta, la spesa.
O quando sul volto del vicino, costretto a fiancheggiarmi per cinque secondi se mi incontra per le scale, si dipinge il terrore.
Ma mai avrei creduto che questo male avesse un volto che è il mio stesso volto: la vita.
È un male e come tale vive facendo il male, sì.
Ma - come me - vuole vivere.
Non lo abbiamo chiesto noi, il virus e io, di vivere.
Però ci troviamo a doverlo fare.
Ma in queste condizioni, per cui essere più grandi, più evoluti rispetto a tante altre forme di vita non grandi, non evolute, vuol dire essere approfittati di sé.
E poi, eventualmente, dopo aver aiutato - sia pure involontariamente - la vita di un altro, soccombere…
Di colpo ho pensato a quante forme di vita, evolute o meno evolute - un fiore, un animale, una formichina - io mi sia trovata a distruggere per lo spasmo di affermare la mia, di vita.
E non è stato bello.
È stato bello solo ricordarmi del mio catechismo, da bambina anni ’60 (quando il catechismo si faceva davvero: non era solo per giocare e disegnare).
Lì - per quanto fossimo ‘bambini’- si parlava di cose serie.
Cose che, poi, nella vita ci avrebbero aiutato a non banalizzare più di tanto.
Si parlava del male e del peccato.
Si spiegava che tutto il creato è immerso nel male, cioè nella contraddizione cieca, nel rivoltarsi contro una Realtà grande.
Così grande che gli uomini la chiamano Dio e tentano - sciocchi virus parassiti a loro volta - di ingraziarseLo in tutti i modi.
Ma solo per sopravvivere, a spese di Lui.
E si rendeva manifesto che tutti noi, piccoli virus parassiti gli uni degli altri, cerchiamo- forse inconsapevolmente- di sopravvivere a spese di chi ci sta accanto.
Tutta una corsa a chi vive meglio e di più a spese di quanto e quanti lo circondano.
Se per animali, virus e amebe non si può parlare di peccato, ecco: per gli uomini, ci dicevano, invece sì.
E poi…in tutto questo spudorato accapigliarsi e mentirsi reciprocamente - anche inventando miti e parole d’ordine altruistiche e altisonanti - ecco che la Forma suprema di Vita, a questo spensierato e depravato prendersi l’esistenza gli uni dagli altri, ha scelto di donare la Sua.
Nessun ‘effetto-virus’ in un amore così spassionato per l’altro.
La Vita entra nella nostra vita e non ci prende nulla, anzi, ci dona tutto.
E, a me, resta da pensare: perché?