"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Sotto, le grigie rotaie che entravano in stazione oppure, dal verso opposto, si slanciavano verso la periferia Nord e poi i Laghi.
Lo spiritosone mi è venuto in mente ieri sera, guardano il Telegiornale perché c’era un servizio tutto dedicato al Natale.
Un Natale che “non è più quello di una volta”. Come e peggio del Futuro.
Il concetto di questo Natale, visto attraverso il servizio, era documentare un mondo di meraviglie e di stupore disseminato nelle vie del lusso della metropoli. E questo stupore avrebbe dovuto consistere nell’ammirare alberi e postazioni natalizie rutilanti di luci e di gadget, che però… a ben vedere, null’altro erano che installazioni pubblicitarie di grandi marchi.
La giunta comunale ha svenduto spazi cittadini al miglior offerente delle grandi holding commerciali per trasformare la festa di una volta, quella del Natale, in un ‘diffuso’ e gigantesco spot pubblicitario.
A gara si susseguivano alberi ed alberoni tutti pieni di luci con i loro riconoscibilissimi marchi: quello ormai consueto in Galleria di Svarowski, quello nuovo di Chanel in Piazza Cordusio, quello Veralab in piazza Duomo; quello Acqua di Parma in via Statuto/Largo La Foppa; Wopta in piazza san Carlo; Subaru in Piazza XXV Aprile; A2A Corso Garibaldi; Disney in Piazza Tre Torri
Per darci un’idea del flusso monetario rappresentato, soltanto quello in Piazza Duomo è costato 700mila euro.
Chi non essendo cieco, sordo e muto nato, non vedrebbe il grande affare per le casse comunali di questa svendita al miglior offerente della città?
Abbiamo così bisogno di luccichii con tanto di brand bene in vista per ricordarci che tutto è in vendita, come se non lo sapessimo già abbastanza di nostro da dover usare il fatto che è il Natale?
Non è un ulteriore modo di far appassire le ragioni del Natale, quello vero, questa gigantesca imposizione di ‘suggerimenti per gli acquisti’ fatta con la scusa del Natale?
Camminare per la città è aggirarsi da uno stand all’altro, come in un gigantesco polo fieristico a cielo aperto.
E il frastornamento, la confusione dei piani del chi e che cosa sta accadendo è totale.
Riguardo poi addobbi ed allestimenti di vetrine e negozi - parlo di quelli che almeno un segno di allusività natalizia hanno voluto conservare, rispetto ai mille altri totalmente indifferenti - mi è capitato di constatarne forse i più trash che si ricordino, a cominciare dalla grande griffe francese che si è installata da padrona nel centro della via dello shopping di lusso.
L’alternativa-ovunque uno si giri - pare essere tra il nulla e la pacchianeria.
Del senso del sacro - di cui, pure, il Natale dovrebbe essere il segno macroscopico, ne abbiamo fatto polpette .
Mi trovo a concordare con un autore, che non avevo mai letto prima, docente di Letteratura russa, il quale, nel 2018, richiesto di spiegare cosa sia per lui il Natale, afferma: “Anch’io, dentro questa atmosfera natalizia, vedo che è un’atmosfera che aspira al sacro senza arrivarci mai. Quando mi chiesero tempo fa di scrivere qualcosa per un’audioguida alla mostra “Lo spazio del sacro” alla Galleria civica di Modena, ero in difficoltà. Poi ho pensato che la figura del sacro non è tanto quel che ognuno ha dentro la testa, ognuno ha la propria testa e per ognuno è la patria, per un altro la libertà, per un altro ancora Dio, quanto spazio prende Dio nei nostri discorsi: ma io non parlo di discorsi, parlo delle vite, dei momenti in cui il Mondo ti dà una botta, come per dirti che esiste, come se ti tirasse fuori dai tuoi pensieri, come ti tirasse per la giacca e ti si manifestasse, nel senso che è lì e c’era anche prima, e tu te l’eri scordato, e ti accorgi che il sacro suona, il rumore delle sfere, che delle volte si va a nascondere in cose minuscole, in momenti che non l’avresti mai detto, come quando stendi il bucato, e poi esci e torni a casa e senti odore di sapone di Marsiglia, o quando sei in giro, in centro, con tua figlia, e ti volti a vedere se è dietro di te e la vedi e ti viene da pensare “Ma come è bella”.
Perché voltandosi ci si accorga di come son belli i nostri figli, disseminare in piazze e incroci cittadini alberi di Natale col marchio famoso che alletta e rintrona, non è la cosa migliore.
E nemmeno per ricordarsi che è Natale: quello vero.

(per gentile concessione dell’autrice, pongo come immagine una fotografia scattata nell’ospedale dove lavora Francesca, amica medico legata all’Africa. Chi scopre il senso del sacro - in centro, nelle nostre città - voltandosi a contemplare il volto del figlio, qui non dovrebbe mai smettere di guardare. E - forse - di vergognarsi anche un po’).