"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Michele Brambilla

A pochi mesi dalla caduta di Berlusconi, esce di scena anche il suo delfino: Roberto Formigoni. Non che il governatore della Lombardia fosse un prodotto del berlusconismo: al contrario, la sua storia umana e politica affondava in radici del tutto differenti: la Chiesa piuttosto che l’impresa, don Giussani piuttosto che Craxi, gli esercizi spirituali piuttosto che Drive In. Tantomeno si può dire che Formigoni fosse un delfino designato: al contrario, si trattava di un delfino sopportato, visto che Berlusconi soffriva il suo carisma e ancor di più la sua indipendenza.

Tuttavia, che per anni si sia pensato a Formigoni in vista di un «dopo», è indiscutibile. Certamente ci pensava lui, Formigoni, tra le cui caratteristiche non manca una discreta opinione di sé. Ma era un’ autostima che aveva buone ragioni d’essere. In un Pdl popolato da servitori molto obbedienti ma non molto brillanti, Formigoni era di gran lunga il più dotato. Era anche il più spendibile verso tutto un mondo di moderati che non si riconoscevano nello stile che Berlusconi aveva imposto al centrodestra. Formigoni veniva infatti da una scuola precedente, quella della Dc.
Era entrato in politica quando il Cavaliere pensava ancora che dalla politica (perlomeno da quella attiva) fosse meglio stare alla larga; e ci era entrato subito da protagonista, facendosi eleggere all’europarlamento, nel 1984, con così tanti voti da spaventare, più che rallegrare, il suo principale di allora, Ciriaco De Mita. E quando per la prima volta ha cominciato a vincere, o meglio a stravincere, le elezioni regionali lombarde, era il 1995 e la salute politica di Berlusconi non era delle più floride, anzi.
Come presidente della Lombardia, Formigoni ha poi dato una prova d’efficienza che non ha eguali nelle gesta dei tanti yes men di cui «l’amico Silvio» si è attorniato. Infatti ogni volta che si andava a rivotare, Formigoni rivinceva: aggiungendo, oltretutto, nuovi voti. Segno che la Lombardia, con lui alla guida, è stata amministrata bene.
Ora ci si chiede se quel buongoverno abbia richiesto un prezzo inconfessabile. Il sospetto di una gestione familista, soprattutto nella sanità, è più di un sospetto. La vox populi sui favori agli amici degli amici è ormai diventata, se non vox Dei, vox della magistratura, e ben sappiamo quanto questa voce abbia ascolto, da vent’anni a questa parte.
Ci fu corruzione? Saranno appunto i giudici ad accertarlo. A occhio, diremmo che Formigoni e i suoi amici hanno governato né più né meno di come il Pd (e, a maggior ragione, il vecchio Pci) hanno governato in Emilia: fidandosi degli amici, che sono i ciellini da una parte, e le Coop da quell’altra. Inutile fingere di non sapere: questo succede, e non vuol dire governare male.
Ma più che l’aver ceduto a questa sorta di cogestione, Formigoni sembra pagare oggi una strana deriva umana della quale le bizzarre giacche arancioni degli ultimi tempi sono solo il sintomo di qualcosa sfuggito al controllo. A chi lo conosce da decenni, il Formigoni di oggi sembra un lontano parente del riccioluto e barbuto ragazzo di oratorio entrato in politica perché «anche la politica è una vocazione». Sarà anche vero che ciascuno in vacanza può fare ciò che gli pare: ma le spiagge esotiche, gli yacht e i jet privati non sono esattamente lo scenario tipico di un consacrato che ha scelto di vivere in comunità. Non si tratta di fare del moralismo, ma di capire che in politica la coerenza negli stili di vita è spesso una pretesa degli elettori. Giusto o sbagliato, ma è così: e a questo dato di fatto Formigoni ha risposto con una supponenza che non gli apparteneva.
Ancor peggio ha fatto quando ha cercato di replicare punto per punto sui contenuti dell’inchiesta. Intendiamoci bene: ha perfettamente ragione nel dire che non si dimette. Se un avviso di garanzia dovesse far scattare le dimissioni, addio: saremmo davvero in una dittatura dei giudici. Ma Formigoni si è difeso in un modo che negli Stati Uniti sarebbe sufficiente a far scattare l’impeachment. Ha esordito dicendo di non conoscere Daccò: e poi ha dovuto rettificare. Quindi ha assicurato di aver rimborsato le spese per le vacanze: ed è stato smentito. Infine ha reagito alla notizia dell’indagine contro di lui non dicendo che non gli risultava (cosa possibile), ma che non era vero. Atteggiamenti che, lungi dall’intimorire i nemici, hanno indotto anche gli amici ad abbandonarlo. Tanto è vero che, mentre lui vacilla, Berlusconi non piange, e la Lega ieri ha annunciato la spintarella fatale.
(Ci rendiamo conto, rileggendo, che abbiamo quasi scritto un coccodrillo. Ce ne scusiamo: Formigoni è ben vivo. Ma, nonostante le t-shirt da adolescente, ha 65 anni e difficilmente potrà, con questi guai, coronare il suo sogno di essere primo non solo in Gallia, ma anche a Roma. L’impressione è che, dopo Berlusconi e Bossi, il centrodestra abbia perso un altro dei suoi leader. Forse, per certi aspetti, il migliore).