"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Dichiarazione spontanea
(21 settembre 2015)

Parto da qui, per evidenziare innanzitutto una difficoltà logica mia.
Mi riesce difficile capire che concetto di reato sia quello che mi accomuna, sotto la categoria di ‘raggiri ed artifizi’, alle altre due persone del capo F) totalmente , oltre che estranee, disomogenee a me. E questo sia per la loro qualifica ed attività professionale: il mondo in cui si muovono è quello economico-amministrativo, sia per la possibilità specifica e tutta loro di compiere eventualmente gli atti contestati.

Lo dico rispetto ala mia qualifica di privata cittadina/casalinga e alla mia specifica personale possibilità di compiere il reato che mi viene contestato in forma comunitaria con questi altri del capo F) appunto.
Qui mi son venuti in soccorso gli anni del Liceo: ”Quaestio male instituta exitum reperire non potest” (Cicerone)
L’accusa mi spiazzerebbe meno infatti se fosse posta in termini ‘altri’: al limite una ‘associazione a delinquere’ on una bella accusa di corruzione/concussione. In questi casi , ove chiaramente la diversità di ruoli e competenze non impedirebbe la comunanza verso un obiettivo comune di dolo, mancherebbe però la materia prima, appunto quella che nessuno può contestare in questo rinvio a giudizio e che pertanto, penso io,  ha generato quest’assurda qualifica di reato sotto cui  si poteva immaginare di accomunare entrambi: questa materia prima è il contatto. Il rapporto quale che si voglia, la frequentazione sia pur minima tra di noi.
Nel comunicato del rinvio a giudizio non mi viene contestata nei confronti degli altri coimputati ( e nemmeno agli altri coimputati a dire il vero nei miei confronti) una sola telefonata registrata o meno, una mail, un invito a cena, una proposta indecente, un invito al bar o a cena, una cartolina, un biglietto per la partita o qualsivoglia cosa che indichi un minimo contatto tra di noi.
Potrei- è vero- aver commesso qualcosa con loro se dotata, come NON sono, di risorse telepatiche o di teletrasporto, ma non basterebbe: dovrei essere fornita anche di arti divinatorie. Necessarie infatti per supporre che quelli da contattare telepaticamente esistano semplicemente.
Infatti-per me- costoro non sono nessuno.
La loro esistenza, senz’altro più fondamentale della mia, mi è stata rivelata un anno fa da un elenco di nomi scritti su un rinvio a giudizio. E’ emerso dal nulla il signor Trabucchi per firmare l’atto notarile di compravendita e nel nulla, subito dopo, per me è rientrato.
Mi spiazza quindi- oltre l’impossibilità concreta di averli ‘indotti’ a compiere eventuali illeciti perché non mi viene riconosciuta nessuna frequentazione con costoro- il fatto che, accomunandomi sotto il medesimo capo d’accusa che dettagliatamente descrive eventuali mancanze nello svolgere un compito di tipo puramente amministrativo e puramente interno ad un istituto a cui non appartengo, io dovrei difendermi da una cosa che potevo razionalmente compiere. Che non riguardava proprio me se potesse o meno accadere.
- I signori miei coimputati, possono vendere , non possono?
- Danno il giusto valore ai loro beni?
- Non glielo danno?
- Devono prima di vendere ai loro inquilini bandire aste?

E IO CHE NE SO?
Non mi sono MAI posta il problema in 18 anni che sono stata loro inquilina e , dal momento dell’acquisto al rinvio a giudizio, ancor meno.
Voglio citare qui un giudizio autorevole tratto da “Metodologia e problemi della riforma del Codice di Procedura Penale “ di G. Vassalli perché da qui ho tratto un barlume di chiarezza: ”SI usa la tipicità per affermare l’esistenza di reato in fattispecie concrete non lesive del bene tutelato e si usa il riferimento al bene tutelato per evadere dalla tipicità”.
Ritengo in particolar modo la seconda affermazione essere espressiva della mia situazione: “per evadere dalla tipicità in favore del ‘bene tutelato’.
Se, come dice R. Rampioni nel suo “Dalla parte degli ingenui”: La tipicità consiste nella precisa predeterminazione dei casi rilevanti sul piano penalistico come nella particolareggiata descrizione degli elementi costitutivi del fatto-reato”, nel mio caso , dove sono questi elementi descrittivi ’particolareggiati’??
La riflessione su queste affermazioni degli autori sopra citati , con l’aiuto anche della massima ciceroniana ovviamente, per cui è impossibile trovare un ‘exitum’ cioè una soluzione ad una questione che è mal posta di suo in partenza,mi ha riportato al modo di ragionare che mi è più proprio, quello appreso sui banchi di Università dove era fondamentale l’esame di Logica: Così mi son detta”Forse il sillogismo che ci sta sotto ha qualche improprietà di suo ed è per questo che la conclusione mi lascia incapace di capire che genere di difesa potrei mai trovare alla accusa.
Ecco come svolgo il sillogismo , per meglio dire paralogismo, per non dire addirittura entimema eristico:

  1. Alcune persone dell’Amministrazione del pio Albergo Trivulzio hanno manipolato, interpretato inadeguatamente il loro regolamento, son stati affrettati o indebiti nel procedere ad alienare i loro beni
  2. B)La classe politica in Italia(ascrivibile ad essa anche chi in politica non c’è più da anni e anni, come mio marito)è maestra nel procedere in modo indebito, per intrighi e per comportamenti ‘artificiosi’ e raggiranti
  3. C) Se una , come la Vites, è moglie, o è stata moglie, di un appartenente , o ex-appartenente, alla premessa B), cioè la classe politica, non può che essere uguale e dentro alla premessa A).

Chiuderei con l’aiuto ulteriore del Rampioni, quando dice:” Esiste una libertà interpretativa che vira verso inquietanti modelli illiberali (ovvero non razionalmente afferrabili, non ragionevoli, nota mia) di reato.” A questo punto l’autore fa seguire un elenc di esempi di cui cito solo “reato come ‘volontà’ delittuosa”.
Nel mio caso aggiungerei “reato di esser (stata) moglie  di un appartenente alla classe politica”
E’ qui che a mio avviso la vicenda diventa drammatica, perché-come dice il medesimo, “Il processo si mangia il diritto sostanziale”.
E il caso vuole che io, nel breve volgere di due anni, mi veda incriminata
non in UN processo, bensì in DUE e così…quale processo mangia di più? Ovvero quale processo realmente mangia attraverso l’apparato digerente dell’altro?
Domanda non peregrina se si pensa che questo rinvio a giudizio mi è giunto dopo poco che  a causa delle accuse di essere una riciclatrice rivoltemi nell’altro in corso, io mi ero provata, appunto da ‘INGENUA? A spiegare al PM nell’Interrogatorio preliminare, che se avessi veramente avuto un toto di soldi sporchi da ripulire non avrei certo atteso che un intero consiglio di amministrazione come era il mio proprietario, si riunisse e FORSE decidesse per vendere a me porgendomi l’occasione di ripulire denaro illegale.
Avevo, appunto da ultraingenua ‘suggerito’ l’incriminazione di questo procedimento che non sta in piedi nella maniera più assoluta ma proprio perché era una reductio ad absurdum di cui nelle aule della Procura non si coglie molto l’essenza a quanto apre:.
Dissi: ”Non pare, a loro PM, che, se avessi avuto denaro che scotta, sarei corsa immediatamente a ripulirlo comprandomi una delle migliaia di altre case non governate da consigli di amministrazione che ci sono a Milano per conseguire velocemente lo scopo? Oppure si pensa che io abbia corrotto un intero consiglio di amministrazione?
Ed ecco chela frase detta per evidenziare un’assurdità oggettiva, diviene, di lì a pochi giorni, una contestazione di reato (raffazzonatissima come spero di aver dimostrato) diventa un reato immediato.
ED ECCOMI QUI.