Titolo di un noto film del trio Aldo Giovanni e Giacomo, ma domanda altresì che, nell’introdurre la terza piccola serie di registrazioni è opportuno porsi perché proprio partendo da un’intervista alla nota attrice Claudia Koll mi è stato fornito lo spunto di quanto segue.
Come tutte le persone normali, anche se, talora, non è proprio un vanto considerarsi tali, amo ed ho sempre amato le cose qualunque della vita.
Purché parlino di Bellezza.
Perfino la ‘banalità’ di una vita totalmente ordinaria è piena di Belllezza.
Non occorre andare sotto l’Equatore per rendersene conto.
Però non è così per tanta, troppa gente.
La Claudia in questione, io me la ricordo un po’ di anni fa, in un noto ristorante romano circondata da una corona di spasimanti ed ammiratori.
Era, ed è tuttora, molto bella.
Allora, truccata e in abito da sera, faceva effettivamente impressione.
Era l’epoca di alcuni film, per così dire osè che poi, improvvisamente non ha più accettato di recitare.
Nell’intervista da me udita poco tempo fa, ne dava la motivazione.
Improvvisamente - diceva - si era accorta di aver cominciato ad usare un linguaggio volgare.
Un linguaggio che non sentiva essere all’altezza di quanto lei, per se stessa, riteneva di dover esprimere.
La straniante esperienza di parlare ‘brutto’, lei la fa derivare direttamente dall’aver acconsentito - parole sue - ad usare il suo corpo per esprimere cose che non coincidevano con la sua anima, con la Claudia che sapeva di essere.
Inizialmente - sempre lei - era convinta, consigliata in questo anche dalle amiche, di poter controllare ‘la messa a disposizione’ della ‘carrozzeria’ notevole che le era stata regalata dalla sorte, certa che quanto lei era veramente, la sua anima cioè, nessuno avrebbe potuto comunque manipolarla.
Dopodiché la folgorante scoperta: la trivialità e la scurrilità.
Apparentemente due fenomeni completamente staccati uno dall’altro: recitare, sia pure senza troppi veli, e dire sconvenienze, volgarità…
Eppure questo è quanto afferma Claudia: “non potevo più tutelare il mio io se non difendevo il mio corpo. La mia intimità è strettamente collegata con la mia esteriorità”.
Questo bisogno di ‘unità’ della sua identità, lei lo riassume in una sola parola: bisogno di bellezza.
All’intervistatore, che chiede ammiccante all’attrice - ora titolare di una sua personale scuola di teatro - cosa sia per lei la purezza, Claudia risponde testualmente e straordinariamente: ”la purezza è bellezza”.
Spiazzando uditorio e intervistatore, in un colpo solo.
Non è fantasioso immaginarsi che la domanda avrebbe tendenziosamente preluso a risposte di tipo edificante, calcate su manuali per signorine dell’800, tutte rossori e autoproibizione di pensieri considerati moralisticamente scorretti.
Con questa risposta, Claudia, ha invece dichiarato semplicemente una cosa: l’etica non è un pacco di negazioni.
Ma, bensì, che un comportamento ‘corretto’, è la forma della conoscenza della verità di sé.
E, inoltre, che conoscere sé è conoscere sé come unità.
Frammentarsi per ottenere dai singoli ‘pezzi’ di noi stessi, prestazioni volta a volta ‘utili’ o funzionali a mete relative e finite in se stesse, è un ‘opzione possibile.
Ma è un’opzione falsa e, quindi, che non regge.
Come diceva lei, ci si mette a parlare ‘male’. Cioè a ‘mal parlare’.
Cioè ancora, a trattare con il reale attorno a sé - e se stessi - secondo una rappresentazione (quella verbale è esattamente una rappresentazione, e tipicamente umana: gli animali non estrapolano concetti e definizioni per rapportarsi tra di loro e con l’ambiente) ‘sporca’, inquinata, quale il suono di termini indesiderabili denota.
Inceppando in un discorso ‘sporco’ nel suo rapporto con il reale, Claudia capisce che non conosce più le cose e che probabilmente si precluderà di conoscerle.
Se uno preferisce non conoscere sé, come il reale attorno a lui, allora la mistificazione verbale può continuare a starci.
Ma, se io voglio conoscere quello che c’è, l’essere delle cose e di me, lo scenario non regge.
Da questo problema sollevato da Claudia, il passo obbligato è, per me, a quel crollo portato alla conoscenza sull’uomo dall’insano antimetafisicismo del secolo scorso.
Corrente serpeggiante persino nei più rinomati seminari, e dono di un filo-biblicismo (di chiara matrice protestantica) che, nostro malgrado, derivava dalla pretesa di una maggiore scientificità negli studi teologici.
“L’intenzione biblicista -dice Ratzinger commentando quel capolavoro che è Veritatis splendor di Giovanni Paolo II - ci ha portato alla mercé di una razionalità positivista che non riconosce più il bene sic et simpliciter, in quanto tale.
Per quel tipo di razionalità (quello che dalle scuole gesuitiche ci perviene con la domanda: ”Chi sono io per giudicare”? nota mia ), il bene, in quanto tale, non esiste”.
La sempre tanto citata Bibbia, per i suoi stessi estremi banditori allora, può dare solo motivazioni, non certo contenuti.
Il bene viene inteso ormai sempre più come ciò che, ‘alla luce delle conseguenze’, crei ‘minor disagio’.
Ovvero ciò, scegliendo il quale, statisticamente ci sia meno disaccordo tra le differenti idee di bene, tutte egualmente praticabili e legittimabili, che eventualmente gli individui portino con sé, fondate sul personale sentimento e desiderio fine a se stesso.
Forse, Claudia, tornando a lei, a catechismo aveva ancora fatto a tempo a studiare la Creazione.
Partendo da qui è umanamente possibile collegare Dio, la Legge, i Dieci Comandamenti, un invito di tipo etico cioè, con il desiderio di essere se stessi fino in fondo.
La cosiddetta ‘legge’ altro non è che la scoperta di esserci, proprio ora e qui, non per nostra scelta.
Contemporaneamente però, nemmeno per puro caso.
Nulla quindi poteva (e può) scusare il ‘candore’ di un ex capoccia di studenti cattolici impegnati in Università quando, dopo essere stato ad una performance tenuta dal Fondatore del suo Movimento, esclamò beatamente alle mie perplessissime orecchie: ”Giussani, poi a casa, un bel filmetto porno, una birra e a nanna”!
Ed è il contrario della scoperta di Claudia.
Claudia crede di aver scoperto solo la Bellezza, ma in più ha scoperto la ragione.
La dotazione - stando ad un vecchio saggio come Aristotele, che l’ex capoccia avrebbe dovuto conoscere, in quanto iscritto a Filosofia - la quale distingue, nel vasto regno animale a cui pure appartiene, l’uomo dai suoi consimili, semplicemente animali.
Capisco perché Ratzinger non si stanchi mai di ripetere che la fede nella Creazione è addirittura l’unica cosa che possa veramente difendere l’umanità.
Che la possa cioè salvare dall’atrofia morale e mortale, in cui ci troviamo resta, in fin dei conti la giusta sfida perché l’umanità possa non rassegnarsi a eternamente strappare corpi da anime, lavoro da poesia, amori da speranze, ordinario quotidiano da Bellezza.
Lezione 3
Caratteristiche della conoscenza