Pochi giorni prima di lasciare il mio incarico di Direttore Generale presso una importante azienda di abbigliamento, oltre 1.000 dipendenti di cui due terzi donne, una giovane madre, al momento dei saluti, mi ha inviato una e-mail che fra le altre cose diceva:” …la ringrazio enormemente per quello che ha fatto per noi donne e soprattutto noi mamme, per averci dato la possibilità di continuare a sentirci realizzate come persone che lavorano e che operano all'interno della società e che, allo stesso tempo, si prendono cura dei propri figli e della propria famiglia…”
Era una mamma che lavorava con un contratto di lavoro “part-time”.
Avevo presente da tempo il problema, ma quella lettera mi ha spinto ad approfondirlo.
Queste sono le idee e le proposte che ho maturato in anni di riflessione e di azioni concrete che oggi vorrei mettere a disposizione di TUTTI.
Chiariamo subito che lavoro femminile può voler dire:
...lavoro domestico, cioè lavoro svolto in casa propria dedicato alla gestione della famiglia, (marito, figli, eventuali genitori anziani, ecc.) senza corresponsione di alcuno stipendio o salario.
...lavoro professionale, cioè lavoro svolto normalmente fuori casa, in maniera autonoma o dipendente dal quale si percepisce uno stipendio o salario.
Oggi il primo è molto sottovalutato, spesso svilito, poco considerato e per niente retribuito.
Vale la pena, allora, proporre alla riflessione di tutti due citazioni, una tratta dalla Costituzione della Repubblica Italiana e l’altra dalla “Laborem exercens”, l’enciclica sul lavoro di Giovanni Paolo II.
La “Costituzione della Repubblica Italiana” recita:
“Art. 30: E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli…
Art. 31: La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi…”
Art. 37: La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”.
Nella “Laborem exercens” si legge:
” L’esperienza conferma che bisogna adoperarsi per la rivalutazione sociale dei compiti materni, della fatica ad essi unita e del bisogno che i figli hanno di cura, di amore e di affetto per potersi sviluppare come persone responsabili, mature e psicologicamente equilibrate… L’abbandono forzato di tali impegni (per la madre), per un guadagno retributivo fuori della casa, è scorretto dal punto di vista del bene della società e della famiglia… La vera promozione della donna esige che il lavoro sia strutturato in modo tale che essa non debba pagare la sua promozione con l’abbandono della propria specificità a danno della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile.”
In entrambi i documenti la funzione materna viene adeguatamente specificata e valorizzata.
Anche la moderna pedagogia, quella che si preoccupa della salute, anche psicologica, della madre e dello sviluppo armonico dell’infanzia è certa che la presenza materna sia fondamentale nei primi anni di vita dei bambini.
Per evitare confusione e decisioni sbagliate, però, va anche precisato che la funzione materna e quella paterna non sono interscambiabili ed equivalenti, ma sono diverse.
Sono uguali in dignità e importanza, ma diverse funzionalmente e praticamente e fra loro complementari.
Basta, infatti, una attenta e onesta osservazione per accorgersi che, negli anni il mondo è cambiato, la società si è modificata, i rapporti fra i due sessi si sono evoluti, la globalizzazione ha portato nuove opportunità e nuovi problemi; due cose però sono rimaste invariate:
...I FIGLI NASCONO SEMPRE DALLE MAMME, sempre piccoli e sempre bisognosi delle loro madri, la cui presenza è fondamentale, almeno nei loro primi anni di vita.
...LE MADRI desiderano sempre poter stare con i propri figli, per poterli accudire al meglio.
Chiarito ed evidenziato quanto sopra, non possiamo e non dobbiamo dimenticare che motivi di: realizzazione personale, desiderio di svolgere una professione extra casalinga, condizioni economiche, ecc. possono portare la donna ad avere anche una sua attività esterna, cioè un lavoro professionale. Desiderio assolutamente legittimo e degno di essere tutelato.
Il problema nasce quando questi due legittimi desideri devono conciliarsi tra loro.
A mio avviso il LAVORO PART-TIME (lavoro parziale - orario ridotto ecc.) rappresenta la soluzione, se non proprio ideale, comunque molto vicina all'ideale.
Anziché dire alla lavoratrice che ha appena avuto un figlio: “o continui a lavorare a tempo pieno o ti licenzi” (come spesso succede) e cioè: questo o quello; dare alla lavoratrice MAMMA la possibilità di chiedere e ottenere un orario di lavoro che le consenta di impostare e gestire al meglio la sua nuova situazione.
Un orario di lavoro (ridotto o flessibile) modulato sulle esigenze e sugli orari della famiglia e concordato con l’azienda, può consentire alle lavoratrici madri un adeguato e gratificante svolgimento delle due mansioni.
Si può fare da SUBITO.
Come tutti sanno, le lavoratrici madri dopo la maternità hanno diritto ad alcuni congedi più o meno retribuiti con durate prestabilite. Dopodiché possono/devono tornare al lavoro.
Oggi possono anche fare richiesta di lavorare part-time.
L’azienda deve esaminare la richiesta ma non ha nessun vincolo né obbligo di accoglierla, per cui molto spesso la domanda non viene accettata e la giovane madre si trova nel dilemma: sistemare il figlio da qualche parte, ammesso che ci riesca, oppure licenziarsi perché la sua richiesta di riduzione di orario ha avuto esito negativo.
Triste situazione nella quale si sono trovate e si trovano moltissime mamme.
Nel dettaglio queste potrebbero essere alcune proposte operative che potrebbero essere realizzate da subito.
1) - Codificare per le madri il diritto di chiedere e di ottenere che il ritorno al lavoro possa
avvenire con un orario part-time (4/5/6 ore a seconda delle esigenze), fino a quando il figlio più piccolo non raggiunga almeno i 3 anni (6 sarebbe meglio).
2) - Erogare un “bonus”, sia alle aziende che concedono alle mamme l’orario part-time, sia per le mamme che lo richiedono.
I fondi ci sono. Basta modificare la Legge n. 53 del 8 marzo 2000, che, così com'è formulata non ha dato i risultati sperati.
Questa potrebbe essere una bozza di “Proposta di modifica/integrazione della Legge n. 53 del 8 marzo 2000”, recante:
“Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città”
Al CAPO III - FLESSIBILITA’ DI ORARIO -
Aggiungere all’art. 9 un articolo 9/bis.
ARTICOLO 9/BIS
"I fondi previsti e stanziati ai sensi dell’art.9 che precede possono essere utilizzati anche per concedere
contributi alle aziende e alle madri che si trovino nelle seguenti condizioni e secondo la seguente procedura.
Le madri, all'approssimarsi della data di scadenza dei loro congedi obbligatori per maternità, (almeno un mese prima della scadenza) possono richiedere alle rispettive aziende di rientrare al lavoro con un orario ridotto (part-time). Le aziende, salvo eccezioni gravi, sono tenute ad accogliere positivamente le richieste pervenute secondo la normativa vigente che conserva tutta la sua operatività.
Alle aziende che concedono la riduzione di orario come previsto nel comma precedente viene riconosciuto un contributo (bonus) di euro 1.000,00 per ogni contratto e per ogni anno (o frazione se il contratto prevede durate diverse dall'anno intero), che potrà essere dedotto dai contributi che l’azienda deve versare all'INPS.
L’orario di presenza in azienda della lavoratrice madre non potrà essere inferiore alle ore 4.
Per aiutare le madri ad assolvere al meglio la loro “essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione” (Costituzione Art.37) a loro viene concesso un contributo annuo di euro 1.000,00, pari a quello delle aziende e con le stesse modalità”.
Queste provvidenze hanno ovviamente un costo, però ridurrebbero la necessità di ampliare l’offerta di asili nido (peraltro molto costosi sia alle Istituzioni che alle famiglie) in quanto, essendo le madri più libere, potrebbero più agevolmente accudire direttamente i loro figli piccoli.
Se proprio non ci sono i fondi o non vogliamo spendere, lasciamo perdere il bonus e codifichiamo però il diritto al part-time.
Anche le Regioni hanno fondi a disposizione per la conciliazione dei tempi di lavoro.
Potrebbero benissimo anziché pensare solo a costruire e a gestire asili nido, concedere contributi alle mamme e alle aziende che optano per un lavoro part time.
Teniamo presente che le “coccole” di una educatrice/inserviente, anche se brava, non sono neppure lontane parenti di quelle di una mamma.
3) - Aiutiamo le mamme ad ottenere, se richiesto, il lavoro part-time anche senza interventi legislativi. Ecco alcune idee.
I Sindacati possono chiedere di inserire nei contratti integrativi aziendali clausole che spingano gli imprenditori a concedere l’orario ridotto alle mamme che lo richiedono.
A volte nelle piattaforme contrattuali si fanno richieste non sempre indispensabili, sostituiamole con una richiesta sicuramente utile per le mamme.
I Comuni potrebbero organizzare alcune sezioni di asilo nido, di scuola materna ed elementare, con orario dalle 14,00 alle 19,00. Non ne servono molte, ma qualcuna occorre, per dare la possibilità alle mamme di lavorare durante il pomeriggio e non solo al mattino, come succede oggi.
Con questi accorgimenti la madre potrebbe accudire i propri figli, restando inserita nel ciclo produttivo aziendale, pronta a rientrarvi, a tempo pieno, appena le condizioni glielo consentono
Ho tenuto per ultimo due considerazioni molto importanti..
La prima è rivolta agli imprenditori e alle imprenditrici.
In attesa di provvedimenti, che chissà se verranno, gli imprenditori e le imprenditrici (queste ultime con ancora più consapevolezza, in quanto spesso mamme) e i dirigenti, sia privati che pubblici, sensibili al problema di cui sopra, POTREBBERO, anzi DOVREBBERO, già di loro iniziativa FAVORIRE una seria politica AZIENDALE di lavoro PART-TIME per le loro “lavoratrici madri”. Una giovane mamma costretta a licenziarsi è una perdite per l’azienda.
Non c’è nessun costo supplementare (due mamme che fanno 4 ore ciascuna costano come una che fa 8 ore) c’è solo un cedolino paghe in più.
Gli imprenditori, le imprenditrici e i loro dirigenti sanno risolvere tutti i problemi che via via si presentano in azienda; cercare di risolverne uno molto importante per le famiglie delle loro collaboratrici e dei loro collaboratori mi sembrerebbe un impegno altamente nobile.
Vale la pena sottolineare che UN solo contratto “part-time” fa felici QUATTRO persone:
- un figlio, che può stare con sua madre, che per lui è la persona più importante in assoluto,
- una madre, che può dedicare più tempo a suo figlio, che è la cosa che certamente desidera di più,
- una disoccupata, che potrebbe essere assunta, per coprire lo spazio lasciato libero dalla riduzione dell’orario di lavoro della lavoratrice madre.
- un marito: che sa di avere a casa una moglie serena. Né sovraffaticata e nervosa , perché lavorare otto ore al giorno fuori casa è logorante e stancante, né scontenta o insoddisfatta, perché si sente relegata totalmente ad un lavoro casalingo che, da una parte la soddisfa come madre, ma che non le sembra totalmente appagante come donna.
Trova invece una moglie tranquilla, certamente indaffarata perché la gestione di una famiglia è complicata, ma cosciente di avere potuto assolvere al meglio un po’ di tutto quello che le sta più a cuore: marito, figli, casa, lavoro.
Quando le mamme sono messe nella condizioni di potere scegliere fra: lavoro esterno a tempo pieno, lavoro domestico a tempo pieno e lavoro esterno part-time, oltre il 70% opta per quest’ultima condizione. PROVARE PER CREDERE.
Oggi molti hanno scoperto il valore della sussidiarietà, cioè del fatto, detto in sintesi, che: il superiore non faccia quello che l’inferiore può fare da solo, che si può anche leggere: lo Stato non faccia quello che i cittadini possono fare da soli.
Il part-time è la sussidiarietà all'opera: facciamo fare agli individui (in questo caso alle mamme) quello che vogliono e possono fare da soli, e magari aiutiamoli. Le Istituzioni intervengano dopo, se e quando, le singole persone non ce la fanno.
Con il part-time si possono fare contente le mamme, creare posti di lavoro e ridurre la disoccupazione, evitando licenziamenti dannosi per tutti.
Ho visto molte volte mamme felici che, lavorando serene, producevano nel loro orario ridotto, quasi quanto le loro colleghe a tempio pieno. Grate alla loro azienda per la sensibilità dimostrata nei loro confronti. Qualcuna anche dopo anni continua a ringraziarmi.
Concludo con un richiamo per tutti.
Guardando alle percentuali di occupazione femminile dei paesi nordici, si sottolinea e spesso ci si rammarica perché le nostre percentuali sono più basse.
Ci si limita, però, a dire che la nostra occupazione femminile deve aumentare.
Ma non si sa o si dimentica, magari volutamente, che la percentuale di lavoratrici part-time nei altri paesi europei è enormemente più alta che in Italia. Basta leggere i dati senza pregiudizi ideologici.
Buon lavoro.
Gianfranco Vanzini
P.S.
La cultura marxista collettivista che ha guidato le scelte sociali di questi ultimi tempi, ha privilegiato il lavoro fuori casa delle donne e l’educazione statale dei bambini, asili nido, tempo pieno ecc.
L’Europa quando sottolinea la bassa percentuale di donne che lavorano - fuori casa ovviamente - segue la stessa pericolosa filosofia. Di fatto una madre che lavora in casa, con marito, figli e magari con qualche genitore anziano da accudire, non è considerata una lavoratrice.
Il valore grandissimo e bellissimo della maternità è stato totalmente dimenticato e perso.
E questo è SBAGLIATO. Proviamo a porre qualche rimedio.
Dare alle mamme la possibilità di scegliere la loro condizione di lavoro e di vita potrebbe essere un passo importante nella direzione giusta.