Per i Romani lo sarà tra poco.
Nel mezzo, questa bellissima riflessione sull'attesa - che vale per tutti i periodi dell’anno, naturalmente - mai solo vuoto o mancanza.
Di Papa Benedetto XVI.
San Paolo, scrivendo ai Tessalonicesi, usa la parola ‘venuta’, adventus, da cui il termine Avvento.
Nel linguaggio del mondo antico era, questo, il termine ‘tecnico’ utilizzato per indicare l’arrivo di un funzionario, la visita del re o dell’imperatore in una provincia.
Poteva però anche indicare la venuta della divinità, che esce dal suo nascondimento per manifestarsi con potenza o che viene celebrata nel culto.
Secondo i cristiani, l’uso della parola sta ad esprimere la propria relazione con Gesù Cristo: Gesù è il Re, il Re che è entrato in questa povera provincia denominata Terra, per rendere visita a tutti.
Pertanto, la parola adventus sta a significare: Dio è qui, non si è ritirato dal mondo, non ci ha lasciati soli.
Anche se non lo possiamo vedere o toccare, come avviene con le realtà sensibili, Egli è qui e viene a visitarci in molteplici modi.
Questo tempo liturgico dell’Avvento ci invita a sostare in silenzio per capire una Presenza.
È l’invito a comprendere che i singoli eventi della giornata sono tutti cenni che Dio ci rivolge, segni dell’attenzione che Lui ha per ognuno di noi.
Ma se parliamo di comprendere una presenza, allora è importante spiegare in che senso il cuore dell’Avvento sia l’attesa.
Attesa, e - nello stesso tempo - speranza.
L’uomo nella sua vita è in costante attesa: quando è bambino, di crescere; quando è adulto, della sua realizzazione e successo; quando avanza nell'età, del meritato riposo.
Ma, sempre, arriva il momento in cui egli scopre di aver sperato troppo poco.
È poco, se al di là della professione e della posizione sociale, di svariati amori e successi, non gli rimane nient’altro da sperare.
Per questo, non è indifferente il nostro modo di attendere.
Infatti, se il tempo non è riempito da un presente dotato di senso, l’attesa può veramente diventare insopportabile.
Se aspettiamo qualcosa, ma ora, in questo istante non c’è nulla, se il presente cioè rimane vuoto, ogni attimo che passa è infinitamente lungo e l’attesa, essa stessa, si trasforma in un peso troppo grave.
In realtà il futuro rimane del tutto incerto.
Se, invece, il tempo è dotato di senso ed in ogni istante percepiamo qualcosa di specifico e di valido, allora, la gioia dell’attesa rende il presente prezioso.
Cristo, il Messia atteso per lunghi secoli e nato nella povertà di Betlemme, presente ci ha recato e continua ad offrirci il dono del suo amore e della salvezza. Venendo in mezzo a noi parla, e ci parla in molteplici modi: nella Scrittura, nell'anno liturgico, nei Santi, negli eventi della vita quotidiana, in tutta la creazione, la quale cambia immediatamente aspetto, a seconda che dietro di essa ci sia Lui, o che sia offuscata dalla nebbia di un’incerta origine e di un incerto futuro.
Se lui è presente, non esiste più alcun tempo vuoto o privo di senso.
Se lui è presente, possiamo continuare a sperare, anche quando gli altri, perfino i nostri cari, non possono più assicurarci alcun sostegno. Anche quando il nostro presente diventa, inspiegabilmente per noi, tanto faticoso.
Benedetto XVI, Omelia per l’inizio d’Avvento 2009