Siamo stati messi in grado di tornare a ‘rimirar il cielo e le altre stelle’, quando, poi, queste stelle, niente più che le insegne del bar o del negozio all'angolo siano ormai - impoeticamente - per noi.
Detto questo, uscire è sempre un po’ come… morire…
Almeno per me.
E perché mai?
Ma perché, per uscire, occorre avere una direzione, qualunque essa sia.
E su quel ‘qualunque’ si appunta tutta la disperante vacuità della nostra epoca.
La quale epoca, andare va, eccome, dappertutto, ma - come le palline di un Flipper impazzito - senza molto sapere il come e il quando, spinta per lo più dal rimbalzo della prima levetta che scatta non appena la sfioriamo.
Certamente, c’è chi il problema di una direzione sensata e non reattiva ce l’ha, o perlomeno ce l’aveva…
Parlo di scienziati come Heisenberg, non proprio del tipo di quelli che attualmente - nuove star dei media- ci entrano ogni giorno e ogni ora in casa dal tubo catodico o da mille altre porticine / portoni del media-system.
Ecco perché non ho potuto trattenermi dal ricopiare fedelmente un passo di una sua conferenza (post Nagasaki e post Hiroshima, di appena un anno) che lascia poco spazio alle illusioni.
O, forse, ad averla ascoltata come conveniva, avrebbe potuto regalarcene molte.
“(…) Vengo qui a considerare un lato assai inquietante della vita attuale, lato che bisogna conoscere bene se si vuol agire rettamente.
Non penso qui solo al fatto che la fisica sia venuta in possesso, nel 1945, di fonti di energia che possono condurre a distruzioni inimmaginabili (bomba atomica); ma anche prescindendo da ciò, penso che in molti campi siano aumentate minacciosamente le possibilità di interferire con i fenomeni naturali.
È vero che nell'ultima guerra non si è quasi fatto uso di mezzi chimici per distruggere vite umane; ma anche nel campo della biologia è stato possibile scrutare tanto profondamente le leggi dell’eredità nonché la struttura e la chimica delle macromolecole di albumina, che entra nel campo delle cose possibili lo scatenamento artificiale delle più micidiali malattie contagiose (corsivo mio).
O anche un ‘interferenza nello sviluppo biologico dell’uomo in un senso arbitrariamente prefissato.
Si potrebbe addirittura esercitare un’influenza sull'animo umano, e, qualora ciò fosse fatto con criteri scientifici, giungere a modificazioni psichiche-gravi di conseguenze- di grandi masse popolari.
Si ha l’impressione che la scienza si avvicini, per così dire, su un largo fronte, ad una regione in cui la vita e la morte dell’uomo possono dipendere su vasta scala e nel modo più preoccupante dalle azioni di singoli gruppi formati da pochissime persone.
Finora il linguaggio sensazionalistico con cui la stampa ha parlato di queste cose ha impedito forse di rendersi conto dell’enorme pericolo implicito in questo inevitabile sviluppo.
Ma è proprio compito della scienza risvegliare in tutti la sensazione che questo mondo è diventato in realtà denso di pericoli, e quindi di far conoscere quanto sia importante che tutti gli uomini, indipendentemente da pregiudizi nazionalistici e ideologici, uniscano i loro sforzi per affrontare questi pericoli.
Se è vero che è più facile dire che fare, in ogni caso si tratta di un dovere a cui non è più lecito sottrarsi.
Lo studioso si trova personalmente davanti all'amara necessità di dover scegliere senza preconcetti, in base alla propria autocoscienza, quale cosa sia buona o, addirittura, quale tra due cose sia meno cattiva.
Non possiamo ignorare che grandi masse popolari, e con loro i potenti che le governano, agiscono sovente in modo assolutamente insensato, accecate dai pregiudizi.
Chi presta loro l’appoggio delle proprie conoscenze scientifiche si può facilmente trovare nella situazione di cui parlava Schiller:” Guai a chi presta all'eterno cielo la celeste fiaccola della luce; essa non largirà i suoi raggi, essa non potrà che incendiare, incenerire città e province”.
Può allora la scienza veramente contribuire in queste condizioni ad un ‘intesa tra i popoli?
Essa può in realtà scatenare grandi forze, superiori a quante mai siano state nelle mani dell’uomo: queste sono forze che conducono al caos se non si riconosce un centro dal quale esse possano essere regolate”.