"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

In più, grazie alla protesi - mascherina, al distanziamento e al sospetto reciproco, tutto prometteva un grande sforzo per l’applicazione della virtù della pazienza oltre che della mortificazione.
Poi… ecco che il sacerdote inizia l’omelia.
La mia domenica mattina, pronta a trascinarsi già dalle 8 con il ritrovo di vecchietti stanchi della vita, ha avuto un guizzo!
È stato grazie a questo sacerdote, dal tono apparentemente dimesso, ma in realtà fermissimo, e sacerdote nel senso pieno del termine, cioè un sacerdote come quelli conosciuti ai tempi in cui frequentavo il catechismo io, che la mia domenica ha preso il volo.
Tornata a casa ho deciso di andarmi a cercare questo testo mai molto pubblicizzato - se non censurato apertamente - che risale appunto all'anno appena successivo a quello della mia Prima Comunione, del mio catechismo.
Era un anno, il 1968, quello della Prima Comunione, in cui in provincia arrivavano echi di quanto nelle metropoli, Parigi in testa, stava scardinando il quieto vivere post-bellico.
E pure la Chiesa si stava attrezzando per mettersi al ‘passo’: è di quel periodo l’inizio della costruzione ‘razionalista’, bahausiana, della parrocchia di allora, in attesa della quale si celebrava momentaneamente nei vani vuoti di un negozio.
Nasceva il nuovo quartiere, cioè colava cemento a tutto spiano su orti e cortiletti, e la chiesa in pectore per la zona avrebbe avuto anch'essa le caratteristiche del cemento.
Cemento senza anima che - col suo grigio uniforme - renda la Gloria di Dio un optional a buon mercato.
Soprattutto: tetto rigorosamente piatto e senza ombra di cupola o campanile, acciocché a nessuno possa saltare il ghiribizzo di doverla riconoscere come casa di Dio, tra le ‘case degli uomini’, ben più ideologicamente importanti.
Il sacerdote che ha celebrato questa domenica mattina improvvisamente levatasi in volo, non era particolarmente anziano.
Però, in maniera quasi aliena, è riuscito a conservare un taglio oserei dire ‘teologale’, per parlare al popolo di Dio avendo il coraggio di parlare di Dio.
Ha iniziato denunciando lo ‘squallore’ quotidiano in cui viviamo come induttore continuo alla paura.
Il Vangelo di oggi, secondo lui, mostrava la ‘fatica’ con cui Cristo cerca di far coraggio agli apostoli e sostenerli a vincerla, la paura.
E - per inciso - è esattamente un popolo paralizzato dalla paura, quello che costruisce chiese in cui non occorra far lo sforzo di alzare lo sguardo, tanto il tetto lo ricaccia giù all'istante.
Diceva questo sacerdote che ci sfugge spesso, quando ascoltiamo l’invocazione “te lo chiediamo per Gesù Cristo, Tuo Figlio che è Dio”, il particolare di coda: cioè: che è Dio.
È per quello che - secondo lui - noi la fede crediamo che sia consolatoria, mentre invece è ‘decisiva’.
Ha usato proprio questo termine: decisiva.
Sta a dire, raccattando tra altari e candele votive una mera anestesia locale, ci sfugge nientemeno Ciò grazie a cui siamo quello che siamo e facciamo quel che facciamo… o che dovremmo fare.
Un coraggio pescato chissà dove, in questo sacerdote!
Oggi che la fede è un semplice spot ad una ONG come mille altre, sempre adeguata alle decisioni prese in sedi estranee ma ritenute le sole veramente adeguate perché tecniche scientifiche moderne al punto giusto, sentirla addirittura qualificare come decisiva, lascia stupefatti.
E il sacerdote, non contento, ha pure spiegato perché questa fede sia decisiva: perché Cristo è Dio.
Possiamo non aver paura, possiamo non smarrirci nell'oscurità delle speranze frantumate, possiamo non rassegnarci a morire mai veramente del tutto.
Perché? Perché Lui è Dio.
Per di più possiamo anche invocare lo Spirito Santo a sostenerci… perché? Ma perché è Dio. (Pure Lui!)
Per concludere, rileggendo Matteo 10, 26-33, che era il vangelo del giorno, il sacerdote ha detto: voi valete.
Quindi: non abbiate paura, e di nuovo, perché Lui è Dio.
Una sintonia perfetta, per quanto involontaria potesse essere, con l’invito di Giovanni Paolo II il giorno della sua elezione!
Ma, ancor più, una vera forma di politica non omologata, secondo quanto, sempre Giovanni Paolo II diceva ai polacchi ed al mondo: “Nel cuore di ogni totalitarismo si annida la paura”.
Allora ho pensato che, se veramente valiamo, tutti noi ci meriteremmo Messe diverse.
Messe non speciali. Bensì Messe come ancora era dato a me e ai miei coetanei di partecipare da bambini.
Ci vuole del bel coraggio a dirlo, ma altrimenti, come faremo, poi, a non vergognarci davanti a Lui?
Occorre che nelle messe, nel modo e nella cura con cui vengono celebrate e nell'attenzione che a noi fedeli viene richiesta, passi semplicemente questo: che Gesù Cristo è Dio.
Non che un tipo, addobbato di paramenti, stia facendo il suo show.
Cristo è Dio, ed è venuto a liberarci dalla paura.
Prima che dalle guerre, dalla miseria, dallo stare in centro invece che in periferia.
Così, ho deciso che ai miei fortunati (!) lettori proporrò settimanalmente un pezzetto - fino a pubblicarlo tutto - di un documento che, a leggerlo oggi, fa venire i brividi.
Esattamente come l’omelia di un qualunque sacerdote di provincia - amando Dio - sa far venire.
È qui sotto.
Cominciamo dalla premessa.

Breve esame critico del «Novus Ordo Missæ 
presentato al Pontefice Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci
(il corsivo e le sottolineature ho voluto metterle io)

Beatissimo Padre,
esaminato e fatto esaminare il Novus Ordo preparato dagli esperti del Consilium ad exquendam Constitutionem de Sacra Liturgia, dopo una lunga riflessione e preghiera sentiamo il dovere, dinanzi a Dio ed alla Santità Vostra, di esprimere le considerazioni seguenti:

  • Come dimostra sufficientemente il pur breve esame critico allegato - opera di uno scelto gruppo di teologi, liturgisti e pastori d’anime - il Novus Ordo Missæ, considerati gli elementi nuovi, suscettibili di pur diversa valutazione, che vi appaiono sottesi ed implicati, rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i «canoni» del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero.
  • Le ragioni pastorali addotte a sostegno di tale gravissima frattura - anche se di fronte alle ragioni dottrinali avessero diritto di sussistere - non appaiono sufficienti. Quanto di nuovo appare nel Novus Ordo Missæ e, per contro, quanto di perenne vi trova soltanto un posto minore o diverso, se pure ancora ve lo trova, potrebbe dar forza di certezza al dubbio - già serpeggiante purtroppo in numerosi ambienti - che verità sempre credute dal popolo cristiano possano mutarsi o tacersi senza infedeltà al sacro deposito dottrinale cui la fede cattolica è vincolata in eterno. Le recenti riforme hanno dimostrato a sufficienza che nuovi mutamenti nella liturgia non porterebbero se non al totale disorientamento dei fedeli che già danno segni di insofferenza e di inequivocabile diminuzione di fede. Nella parte migliore del Clero ciò si concreta in una torturante crisi di coscienza di cui abbiamo innumerevoli e quotidiane testimonianze.
  • Siamo certi che queste considerazioni, che possono giungere soltanto dalla viva voce dei pastori e del gregge, non potranno non trovare un’eco nel cuore paterno di Vostra Santità, sempre così profondamente sollecito dei bisogni spirituali dei figli della Chiesa. Sempre i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa.

Supplichiamo perciò istantemente la Santità Vostra di non volerci togliere - in un momento di così dolorose lacerazioni e di sempre maggiori pericoli per la purezza della Fede e l’unità della Chiesa, che trovano eco quotidiana e dolente nella voce del Padre comune - la possibilità di continuare a ricorrere alla integrità feconda di quel Missale Romanum di San Pio V dalla Santità Vostra così altamente lodato e dall'intero mondo cattolico così profondamente venerato ed amato.

Card. Ottaviani
Card. Bacci

Corpus Domini 1969