Lì esiste una chiesa, sottostante il santuario della più famosa santa Rita, la santa delle cose impossibili, dove sono conservati, da un lato madre Fasce che ha voluto fortemente il santuario moderno, dall'altra una reliquia.
Una reliquia molto particolare.
È solo un quadratino di carta di pagina di breviario.
È lì, conservato a Cascia da prima che Margherita Lotti (S. Rita) nascesse.
Il quadratino di pagina, l’ha donato un agostiniano, a cui era stato dato dallo sconvolto sacerdote proprietario del breviario.
Questo tale sacerdote, dovendo portare la comunione ad un malato, di meglio non aveva trovato che infilare un’Ostia tra le pagine del proprio libro di preghiere, e si era avviato.
Arrivato a destinazione, nel cercare di recuperare la particola, trova al suo posto una macchia di sangue, tonda esattamente come la particola, che - però - non c’era più.
Corre dal padre Simone Fidati - ora Beato - a mostrare il breviario e sarà poi il Fidati che, mostrandolo al papa, otterrà il riconoscimento come miracolo.
Se, a Cascia, visitare S. Rita nella sua urna, è suggestivo e allarga il cuore, sostare davanti a questo pezzetto di carta, il cuore lo squarcia e non è puramente suggestivo, è sconvolgente.
S. Rita stessa infatti - per quanto fenomeno sia - è appunto un fenomeno.
In cripta, invece, non c’è che un pezzo di pagina stracciato.
Tuttavia, non si può non pensare a quante volte abbiamo infilato il Signore negli spazi casuali della nostra vita, tra le pagine del romanzo che scriviamo noi su di noi, quotidianamente.
Il sacerdote che Lo ha messo in mezzo al breviario lo ha depositato dentro uno strumento nobile di un nobile lavoro...
E poi: il Signore non ci sta.
Non ci sta a essere riposto tra le cose, per quanto nobili, del nostro per quanto nobile lavoro.
Evidentemente gli urge uno spazio particolare.
Uno spazio, sì, dentro le nostre cose quotidiane, ma anche e, soprattutto, molto di più.
Non Gli basta essere portato a rimorchio, vuole stare oltre.
Guardando il quadratino di pagina stracciato, ho pensato alle viole del pensiero che trovavo tra le pagine di vecchi libri di mia madre.
Le riscoprivo ancora perfette. Secche, ma perfette.
Si erano fissati i colori e la loro permanenza ad oltranza parlava di un ricordo che, forse, meritava di non sparire più.
Però, erano fiori.
Fiori e basta.
Tutto quello che potevano dire era: come è stato bello quel momento!
Anche belli, la loro funzione era svolta e conclusa.
Questa pagina macchiata, invece, non dice: quel momento è stato bello.
Essa continua a dire: quel momento è adesso.
Quel momento è ora.
Questo sangue dice: non sono una viola, sono un cuore.