Ma questa figura non lo permette, proprio esegeticamente.
Anzi, proprio il Gesù dei Vangeli oltrepassa la cornice di ciò che è puramente ‘umano’ e pone davanti a domande e scelte che interpellano l’uomo nella sua realtà più profonda.
Accortisi di questo, gli ‘esegeti’ si impegnarono quindi a ‘distinguere’ all’interno degli stessi Vangeli in modo da attingervi più che altro motivi di consolazione.
Così, si è oggi ampiamente affermata l’immagine di un Gesù che nulla esige, che mai biasima, che tutto e tutti accoglie, che in ogni cosa ci approva: esattamente il contrario della Chiesa nella misura in cui essa ancora dovrebbe ardire esigere ed imporre qualcosa.
Le nuove preghiere in uso, sulla scia di quanto codificato nel mondo luterano, rimuovono la designazione di Cristo con titoli teologici di ‘maestà’, mentre si privilegia la sua ‘solidarietà’ con gli uomini.
Il riferimento alla figura di Gesù è rimosso anche per ‘riguardo’ ai numerosi non cristiani che sono tra noi: si passa da ‘Signore’ (considerata parola da evitare) a ‘un uomo’ che non è che l’avvocato di tutti gli uomini.
Ma il Gesù dei Vangeli è tutt’un’altra cosa.
Cioè esigente e provocatorio.
Il Gesù, che a tutti tutto consente, è un fantasma, un sogno, non una figura reale.
Il Gesù dei Vangeli non è certamente comodo per noi, ma proprio per questo risponde alle attese più profonde della nostra esistenza, la quale-lo si voglia riconoscere o no- è orientata verso Dio, verso una pienezza senza limiti, verso l’infinito.
È in direzione di questo Gesù reale, che dobbiamo rimetterci in cammino.
Perché questo accada, probabilmente, la prima cosa, da fare è considerare cosa significhi per noi la parola Resurrezione.
Negli scritti neotestamentari, la fede nella Resurrezione pone davanti ad un’alternativa che esige da noi una decisione.
Si può certo condividere l’opinione, diventata visione del mondo in storiografia, dell’omogeneità di tutta la storia, secondo la quale può essere accaduto realmente solo ciò che potrebbe accadere sempre.
Ma, allora, siamo costretti a negare la Resurrezione come evento, e dobbiamo cercare di spiegare che cosa ci sia dietro, come possano mai nascere idee del genere.
Oppure, invece, possiamo farci travolgere dall’evidenza di un fenomeno che interrompe la serie concatenata di eventi, per poi cercare di capire che cosa esso significhi.
La fede nella Resurrezione è scaturita da un evento che, precedendo il pensare e volere degli apostoli, semplicemente lo travolge anzi, lo rovescia.
Si capisce allora come la tentazione sia quella di annullare l’evento come evento, per reinterpretarlo come fatto puramente mentale, esistenziale o psicologico.
Ma è semplicemente un fuoriuscire da ciò che ordinariamente accade nella storia.
La Chiesa, in conseguenza di ciò- sia pure senza riconoscerlo da parte di molti- quasi sempre contrassegnata dalla prima opzione, è diventata un conglomerato senza coraggio, che pensa sia arroganza o trionfalismo presupporre che la fede cristiana ci dica la verità.
Sentiamo dire che tutte le religioni si sono formate storicamente, l’una in un modo e l’altra nell’altro, e che ognuno deve rimanere quel che si è trovato ad essere per nascita.
Così, la religione, da verità, diviene consuetudine; diventa un vuoto gioco di tradizioni che non significano più nulla.
Grande è la tentazione di dire: “Ah! Ci sono tanti bisogni nel mondo, mettiamo per il momento tra parentesi la questione della verità: preoccupiamoci innanzitutto di realizzare le grandi opere sociali e di liberazione; in seguito, potremo di nuovo ancora concederci il lusso della questione della verità”.
Ma, in realtà, succede che chi differisce la questione della verità e la dichiara non importante, amputa l’uomo: gli sottrae proprio il nocciolo della sua dignità umana.
Se la verità non esiste, o non rileva, ogni altra cosa è arbitraria.
La capacità di verità dell’uomo infatti è ciò per mezzo di cui ciascuno di noi è in contatto direttamente con Dio e ciò per cui ciascuno è più grande di tutti i sistemi pensabili e geniali del mondo.
Joseph Ratzinger