Si torna a coprirsi, a tirar fuori i cappotti e la testa ti fa male.
Ti prende un cerchio che non sai bene se è reuma incipiente, artrite, quella birra che non bevevi da tanto e ti sei concessa sbadatamente la sera prima.
E poi senti puzzo di risacca.
Un puzzo tutto speciale, un puzzo che sta tra la vita e la morte.
La vita, perché lo porta il mare che - se pure inquinato - è movimento, cioè vita.
E morte, perché è indubitabile che le cose vive non emanino questo odore.
Cammini sulle banchine del porto per farti passare il mal di testa.
Che passa. Effettivamente tra il salmastro e il movimento, il dolore al capo se ne va.
Resta il puzzo.
Quando finalmente ti chiudi la porta di casa alle spalle, una casa che non è la tua casa, ti siedi a sfilarti le scarpe, getti uno sguardo al mobile a te dinnanzi che emerge da un’altra storia, un’altra vita e come dopo un naufragio è emerso dal fango e ti ha seguito nell’esilio, allora se risenti il puzzo, capisci che non era la risacca.
C’è un puzzo che emana da determinati ricordi molto più forte e persistente, molto più suggeritore di morte di mille risacche pesci morti risucchiati compresi.
È il puzzo di vedere e sentire determinate persone, determinati discorsi.
Il primo che mi assale sfilando le scarpe e rivedendo come in un improbabile flash back la vita di ieri, grazie alla presenza del mobile all’ingresso, è di quella persona che - nominato ‘capo’ in una cosiddetta comunità cristiana e cattolica, delegato ad ammannire discorsi sensati perché pieni di ideologismi a decine e decine di ascoltatori, poi in intimità a tu per tu ti diceva tutto soddisfatto del suo ’metodo cristiano‘: "Io mi rallegro con me stesso perché ho slavato il mio matrimonio. E l’ho salvato sai come? Dicendomi ‘perché non chiedere a tua moglie quello che chiederesti ad una puttana?’ ".
In un nanosecondo, sull’onda del puzzo, affiora un altro ricordo.
Un altro galantuomo, banditore di sacri principi all’asta delle ipocrisie sedicenti cattoliche, ritenne un dì di narrarmi del suo matrimonio (chissà come mai tutti si sentono di parlarmi del loro matrimonio? Forse perché nonostante nessuno ci creda più è la cosa fondamentale nella vita delle persone, monaci e clarisse a parte…).
E lo fece in questi termini: “Ebbene devo ammetterlo (la moglie, nel frattempo, se ne era andata di casa e poi, negli anni ci lasciò anche la pelle per il dolore, mentre lui si è felicemente risposato e ha figliato come niente fosse) mia moglie per me non era altro che un posacenere. Quando tornavo ero abituato a trovarmelo lì sul mobile di ingresso. Poi, un giorno, torno e il posacenere non c’era più”.
Intanto che mi dirigo a lavarmi le mani di rigore ai tempi del Covid, una virata di risacca maleodorante ma che non viene dal mare bensì da noi esseri umani, conclude l’attimo fuggente di questa giornata: rivedo il marito che ‘licenzia’ la moglie una volta che - dopo trent'anni di assoluta dedizione a lui e ai suoi numerosi figli, mangia finalmente la foglia. Tanto tempo le ci era voluto per credere possibile quello che tra lo sparuto gruppetto degli onesti e sognatori non è possibile, e cioè che anziché sposata, era stata assunta.
Assunta con tanto di onori sacramentali e retoriche benedizioni chiesastiche, ma assunta, come una qualunque badante.
La quale, il giorno che decide di non chiudere più gli occhi sulle cose strane che vede accadere attorno a lei, viene semplicemente allontanata: licenziamento in tronco.
Se poi, non avendo altra risorsa per vivere che il marito dovrà andare a gettarsi in fondo al mare, poco importa.
L’accordo - stipulato da una sola parte, cioè l’assunzione - non è più valido.
La risacca, col suo puzzo maschererà tutto. Sarà solo puzza di pesce morto.