Eravamo entrambi usciti da messa quella mattina alle 9, e tu sei entrato per avvicinarmi e sussurrare, quasi spaventato per quello che avrebbe potuto accadere, nel caso legittimo mi fossi messa a piangere: ”Carla, come stai? Ho saputo…”
Mi avevano appena sequestrato la casa, comunicato due rinvii a giudizio pesantissimi, dai quali solo la grazia di Dio mi ha fatto uscire indenne, e mio marito era in galera.
Anche gli altri del tuo ‘giro’ avevano certo la stessa curiosità, ma a differenza di te, la loro era, appunto, solo curiosità.
La tua, amicizia.
È la parola magica, ‘amicizia’, all’interno di un determinato Movimento, con cui sovente si baratta il bisogno profondo di felicità, che una persona osa confessare di avere, con qualche straccio di certezza: certezza che hai un destino e che gli ‘amici’ te lo faranno scoprire, destino, ovviamente, pieno di felicità.
Poi, un giorno dici: ”Scusate, ma il re è nudo!” e allora la felicità cercatela pure da sola, vattene pure per i fatti tuoi: sei la madrina di nostri bambini? Chissenefrega, non ti invitano nemmeno per sogno al loro matrimonio, se e quando arriva quel giorno anche per loro, i tuoi figliocci.
(Come diceva già quel tale?” Anche se vi credete assolti, siete lo stesso tutti coinvolti”).
Tu eri diverso.
Eri diverso perché, per esempio, non eri nel gruppo, quando frotte di sedicenti ‘memores’ si facevano scarrozzare nei locali trendy o nelle ville in Costa Smeralda a farsi baloccare come quando il nonno porta i nipotini al circo.
E io, oggi, leggendo della tua morte, trovo, scrivendoti qui, l’unico per dirti grazie.
Grazie di avermi salutato e provato a far sentire che - oltre ai quaquaraqua - esistono anche gli uomini.
Quando ti sei accostato in quella libreria, non hai fatto molto di diverso da un certo numero di altri che, forse un po’ disturbati dalle vicende della mia famiglia al cospetto di una visione che fino ad allora pareva perfetta, volevano notizie.
Ma la diversità c’era, eccome. Lo capisco oggi rivendendo il tuo modo di guardarmi,
Un modo da ‘liceale’ pre - 1973, l’anno del grande convegno da te e dai tuoi coetanei organizzato al Palalido di Milano, l’anno della messa in standby di tutto quanto i ‘liceali’ avevano desiderato imparare seguendo il loro prof. di Religione, don Giussani.
C’è infatti un ‘pre’ ed un ‘post’ ’73, almeno per quanto mi è stato chiaramente di constatare per un certo ‘Movimento’.
Il tuo sguardo da ‘pre’ era lo sguardo di chi si interessa alla persona che ha davanti. Anche se non ha risposte da offrire.
Lo sguardo da ‘post’, con cui parecchi mi si sono avvicinati in quegli anni di rinvii a giudizio, di crollo di tutto, per ritrarsi non appena vedevano in me una persona non da ‘normalizzare’, ma da aiutare - accettando di dare la narrazione giusta delle cose - era invece lo sguardo di chi cerca come omologare il dolore.
La distruzione - portata a termine in quelle lunghe giornate nelle aule del tribunale - di tutto quanto fino ad allora si era apparentemente mostrato credibile e degno di fede, non era nulla per taluni, a confronto di quello che, comunque, andava ‘tutelato’.
In quel ’73, anche grazie a quanto tu e i tuoi amici avevate pensato, in una stupefacente eterogenesi dei fini, era sopraggiunto anche tra noi il trionfo del più puro ‘prassismo‘, cioè dell’ideologia - tanto criticata negli ‘altri’ - come metodo di approccio del reale.
Quella metodologia che sposta la domanda da cosa sia il vero ed il bene, a cosa sia utile e - soprattutto - cosa non metta in crisi l’establishment.
Il contrario di quando si diceva: ”Usate la verità come pregiudizio”.
Grazie di aver chiesto e scusa di non aver saputo risponderti.
Vorrei ringraziare chi, nei giorni scorsi ha risposto alla mia richiesta d'invio di fotografie della propria estate. Continuate ad inviare, immagini, commenti ed opinioni a: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..