Non ho potuto fare a meno di riflettere su questi 7 anni che ci separano da allora.
E così vorrei ripercorrere le valutazioni ed i giudizi lì espressi, in una connessione che mi viene inevitabile con l’oggi.
Nell’articolo partivo da monsignor De Luca, grande intellettuale cattolico della prima metà del XIX secolo, amico di Giovanni Papini, che così commentava la tragica situazione dei cattolici negli anni seguenti l’Unità: “Non si sa cosa ci trattenga dall’entrare nel vivo della vita italiana e perché si debba esserne come in margine”.
‘L’essere in margine’ allora - ma sembra di assistere ad un revival perenne - era, secondo De Luca, il frutto di ‘una catastrofe di un mondo e di una mentalità, accaduta nel 1870’.
Tutta una schiera di personaggi cresciuti all’ombra di un’istituzione, la Chiesa, che si poneva, sì come annunciatrice del Vangelo, ma soprattutto come acquisizione di status, ovvero di credibilità, tutt’ad un tratto piomba - dopo i fatti risorgimentali - in una sorta di paralisi di mente e di cuore.
Certo, vi furono del san Giovanni Bosco e non pochi altri che si impegnarono a sanare come potevano i cocci di un’industrializzazione, di un nichilismo positivista e di un’economia selvaggia, ovunque diffusa, ma, in generale, quello che meglio illustrava l’istituzione Chiesa era una mancanza di sana curiosità ed un’abbondanza di limitazioni culturali e di pusillanimità. Eccezion fatta per la grande impresa dell’università Cattolica.
Il mondo moderno si configurava sempre di più, anche proprio per i ‘pastori’ d’anime all’interno della Chiesa, come un mondo delle endiadi, dove l’uomo - fosse esso l’artista, il pensatore, il creatore di qualunque cosa - nel migliore dei casi si concepiva come un “io +il cristianesimo.”
Il secolo da poco terminato, ma tutto ciò ancora persiste e giganteggia, vedeva la ricomposizione della ‘scissione ‘ tra umane necessità e desiderio di salvezza, affidata all’incerto rischio della mistica, del sentimento buonista religioso.
Ma il tentativo che era fondamentalmente spontaneistico se non cripto protestantico di ‘unione con Cristo direttamente’, fondato magari sul ‘carisma’, esaltato e assunto a principio ispiratore di movimenti e quant’altro, è servito solo ad ulteriormente affossare il povero ed umile ma insostituibile, compito affidato da Cristo alla Chiesa stessa.
Il compito è quello di serbare intatte le nemmeno tantissime dottrine di Cristo, i pochi canali ordinari della grazia - i Sacramenti - e di salvare l’unità dei credenti che a lei sola compete, in quanto fondata sulla Tradizione e non su invenzioni estemporanee.
Mi ero soffermata, su un numero di Tempi del 2014 ad esaminare queste vicende in relazione al 50simo della promulgazione di Ecclesiam suam di papa Montini.
Sottolineavo allora come non fosse difficile cogliere lo sguardo velato di sommessa preoccupazione che Papa Paolo VI pareva rivolgere in quel momento alla Chiesa in fase di conclusione del Concilio Vaticano II.
Quello sguardo preoccupato è ancora oggi negli occhi di chi, magari riprendendo come è capitato a me, un vecchio articolo scritto ormai 7 anni addietro, si accorge che lo stato della questione non ha potuto far altro che peggiorare, di anno in anno.
Di anno in anno il timore, forse, di perdersi il consenso con cui le astrazioni umanitarie, da fine Settecento, riescono ad ingombrare uomini e nazioni - ‘parità’ dei ruoli sessuali, il diritto all’autodeterminazione, sino a decidere del diritto di vivere e morire proprio ed altrui, lo sdoganamento dell’omosessualità - per non restare indietro a quello compiuto - levandola dalla lista delle ‘malattie’, nell’89 - dall’Oms (che come abbiamo visto nel caso del rifiuto di definire ‘pandemia’ quella da Covid, serve sfacciatamente interessi di parte), l’esaltazione della fraternità universale e la distrazione di massa puntando sulla difesa del creato, intanto che si tollera l’aborto - ha prodotto una Chiesa timorosa di non essere all’altezza di teorie anticristiane e laiche nel senso puramente deteriore deteriore del termine.
Copio, rileggendole con amarezza, le parole dell’allora papa Montini che avevo proposto già nell’ articolo, trovandole tristemente attuali anche oggi, a due settimane dal santo Natale del 2021, Natale che trascorreremo ancora tra mascherine e iniezioni ‘salva vita’, a cui tutti volgono lo sguardo di speranza che le Comete non attirano più.
“Il fascino della vita profana è potentissimo. Il conformismo sembra a molti fatale e sapiente.
Chi non si radica nella fede e nella vera pratica della legge della Chiesa, pensa facilmente essere venuto il momento di adattarsi ad una concezione profana della vita, come se questa fosse la migliore per gli uomini, quella che un cristiano può e finalmente dovrebbe far propria.
Vediamo come, tanto nel campo del giudizio di pensiero, quanto in quello pratico diventa sempre più incerto e difficile segnare la linea di una rettitudine morale che indichi la retta condotta pratica da svolgere.”
Su un altro fronte, Pier Paolo Pasolini confermava questo dilemma che il Papa esprimeva: “Emerge - scriveva negli anni Settanta l’autore degli Scritti Corsari - l’incapacità degli uomini di Chiesa a promuovere una cultura. Cultura che non si irrigidisca in ragionamenti difensivi, ma si ponga dei problemi reali ed eviti così come unico esito di ottenere contorcimenti in cui la religiosità non riesce a tradursi in religione”.
È del ’74, dieci anni dopo l’Eccesiam suam, la vicenda del gesuita Drinan fattosi eleggere al Congresso americano per spendersi in pieno nella difesa della posizione filoabortista del partito democratico.
Se, quando fu papa regnante, qualche tempo dopo Giovanni Paolo II lo sospese a divinis, e sembrava qualche raggio di luce attraversasse il nostro avanzare pieno di dubbi ed ombre - soprattutto con Veritatis Splendor e Fides et Ratio - è arrivato il papa che i Drinan, i Boff e simili li ha immediatamente riabilitati.