"Ma sin dal giorno dopo, mi toccò andare a dormire in albergo. E sapevo in anticipo che, fatalmente, vi avrei trovato la tristezza. Era come un aroma irrespirabile che, fin dalla mia nascita, esalava per me ogni camera nuova - vale a dire ogni camera; nella mia dove abitavo di solito, io non ero presente: il mio pensiero poteva restare altrove e al suo posto questa parte di me mandava solo l’Abitudine.
Ma non potevo incaricare questa assistente di occuparsi dei fatti miei in una località nuova, dove io la precedevo, arrivavo da solo, ed ero costretto a mettere in contatto, con le cose nuove, quell’"io" che ritrovavo solo a intervalli in me, ma sempre immutato - non essendo più cresciuto dai tempi di Combray, dai tempi del mio primo arrivo a Balbec - piangente, inconsolabile sull’angolo del mio baule disfatto .
Eppure non ebbi il tempo di essere triste, giacché non rimasi solo neppure un istante. Dell’antico palazzo era sopravvissuto - nella trasformazione in albergo - un eccesso di lusso - inutilizzabile in un albergo moderno, avulso da qualsiasi destinazione pratica - che nella sua inoperosità aveva assunto una sorta di vita autonoma: corridoi che tornavano sui propri passi e di cui si incrociavano di continuo i vani andirivieni, vestiboli lunghi come gallerie e arredati come salotti i quali avevano tutta l’aria di abitare lì, piuttosto che di far parte dell’abitazione. Che non s’erano lasciati incorporare in questo o in quell’appartamento, ma s’aggiravano attorno al mio e vennero subito ad offrirmi la loro compagnia - sorta di vicini oziosi, ma non chiassosi, fantasmi subalterni al passato cui fosse stato concesso di sostare silenziosamente davanti alle porte occupate dai clienti e che, ogni volta che li trovavo sulla mia strada, mi dimostravano una tacita premura.
Mi venne così offerta quell'esenzione dallo sforzo che ci concedono solo gli oggetti con i quali abbiamo una lunga consuetudine d’uso, quando posai per la prima volta il piede su quei gradini, già familiari prima di essere conosciuti, come se possedessero - depositata, forse incorporata in essi dai padroni che un tempo vi si affidavano ogni giorno - l’anticipata dolcezza di abitudini non ancora acquisite (…).”
(immagine: Stanislav Yulianovich - Polish, 1873-1944 - Moonlit room)