Metodo e nuovi contenuti si sono vicendevolmente corrisposti, al punto che il metodo è diventato contenuto e viceversa.
Sono stati dieci anni di tattiche movimentiste: dire e non dire, affermare e ritirare, andare avanti dicendo che si tornava indietro, far dire agli altri quanto si vorrebbe dire in proprio, aprire e chiudere, accogliere e condannare, dire e contraddire. Quando si pensava di averlo capito, Francesco si era già spostato altrove. Si era appena letta una sua intervista e lui ne aveva già rilasciata un’altra di diverso tenore. Nelle interviste con Scalfari non si capì mai che cosa avesse detto l’uno e che cosa l’altro. Le citazioni da Bibbia e magistero spesso parziali e imprecise, le note a piè di pagina usate per provocare grandi mutamenti senza farlo apparire, le frasi dalle mille sfumature, gli amori per i lontani e le tirate di orecchie per i vicini, i commissariamenti infiniti, gli interventi politici, la protezione di personaggi discutibili, la promozione dei dubbi di fede fatta senza coltivare alcun dubbio… ecco alcuni esempi di un metodo che ha provocato sconcerto.
Non è realistico attribuire questo modo di fare solo al temperamento personale di Bergoglio o al suo gesuitismo. Gli esiti dei cambiamenti progettati per recuperare terreno sui duecento anni di ritardo rispetto al mondo richiedevano certamente atti ufficiali di modifica dei contenuti, come Amoris laetitia o la dichiarazione di Abu Dahbi, ma anche il cambiamento delle prassi e dei modi di pensare che esse inducono. Il rapporto circolare tra prassi e teoria, pastorale e dottrina, è infatti non un capitolo particolare di questo pontificato, ma la sua linea guida. Per questo lo sconcerto è avvenuto anche tramite la comunicazione oltre che mediante il mutamento di prospettiva sui contenuti.
Proprio perché intende la dottrina dentro la pastorale, Francesco è stato intollerante con i dogmatici, i dottrinari, i rigidi e aperto con gli avventurieri, i novatori, gli insofferenti. Per questo stesso motivo, il suo è stato un pontificato anti-metafisico. La Fides et ratio di Wojtyla-Ratzinger è stata di fatto silenziata. Appena eletto, Francesco ha dichiarato che Kasper è “un grande teologo” e Kasper, alla vigilia dei due sinodi sulla famiglia, ha detto ai cardinali che non esistono i divorziati risposati ma questa o quella coppia particolare di divorziati risposati. Era la dichiarazione che la realtà e la morale non si prestano a conoscenze universali, come sono quelle a base metafisica e che la norma è sempre dentro ad una situazione, sicché ogni singola situazione doveva essere incontrata dall’interno e non più giudicata. Era la pastorale che si liberava della dottrina, era l’assunzione della filosofia nominalista: l’esperienza è fatta di situazioni assolutamente singolari che quindi non si possono giudicare. Ma il nominalismo è la filosofia che sta alla base della riforma protestante. Dopo Amoris laetitia, infatti, è la coscienza del soggetto ad assumere il primissimo piano nella vita morale.
Con il che viene silenziata anche la Veritatis splendor. In questo decennio sono stati effettuati cambiamenti sostanziali nella teologia morale cattolica, tutti nella linea della sostituzione del giudizio, che parte dalla norma e dalla realtà, con il discernimento, che invece parte dalla situazione e dalla coscienza. I comandi di Cristo sono trasformati in ideali, il peccato da esclusione dalla grazia diventa uno stadio inadeguato di vita, la legge nuova non richiede il rispetto della legge naturale, ma la reinterpreta, la Chiesa deve ascoltare, integrare, accompagnare lungo le strade dell’esistenza, e niente altro. In questa prassi senza contenuti consisterebbe l’annuncio, il riferimento ai contenuti sarebbe invece proselitismo o ideologia. Questa nuova visione della teologia morale finisce per trascurare il giusnaturalismo cristiano, dichiarando superata anche la Dottrina sociale della Chiesa nella sua versione tradizionale.
Il pastoralismo ha indotto a provocare vari processi scarsamente guidati dalla dottrina, ma aventi carattere spesso sperimentale, pensando che avendo essi una base di popolo potessero nel percorso esistenziale intercettare e vivere le suggestioni dello Spirito. Anche questi processi, come quello sinodale tedesco per ricordare il più dirompente, iniziati e poi inevitabilmente complicatisi, hanno molto sconcertato. Non sono stati governati alla luce della dottrina tradizionale e in nome del primato di Pietro. Sono stati provocati e vissuti come processi che dal confronto dialettico avrebbero dovuto produrre qualche verità nuova, almeno di atteggiamento pastorale. Ma hanno invece scandalizzato, confuso le menti e i cuori e disarticolato l’unità ecclesiale. Le ripercussioni negative sulla stessa concezione del ruolo del papato sono inquietanti.
Tutti questi elementi sono confluiti poi nella prospettiva della sinodalità, che rappresenta forse la cifra più espressiva del decennio ormai concluso. Da un lato essa viene proposta come un nuovo dogma e una panacea, dall’altro viene intesa come una nuova avventura in cui la cosa fondamentale è il come si vive insieme anziché il perché e il fine. E così si ritorna alla confusione tra teoria e prassi, all’immanenza della dottrina nella pastorale e alla coincidenza tra metodo e contenuto.
Non c’è dubbio che la Chiesa si riprenderà. Ma lo scompiglio c’è stato e ha lasciato dietro di sé un notevole sconcerto.
(immagine: The Sheepfold, Moonlight - Jean Francois Millet)