Il ‘servizio’ è stato organizzato all’insegna del motto "Tutto quello di cui hai bisogno è amore".
A parte il fatto che si tratta di un remake tardivo (e abusivo?) di qualcosa che ai suoi/nostri tempi già un Venditti in casa nostra aveva lanciato alla grande, se pur non nel senso contro natura voluto da questi di Colonia e ancor prima lo avevano fatto i Beatles, accade che qualcuno, minimamente amante della verità, non può non farsi alcune domande.
Io me le sono fatte, e precisamente attraverso le parole di un libro di Pierpaolo Donati che circolava nel fantastico dipartimento di Psicologia Sociale della Famiglia, in Università Cattolica a Milano, ai tempi in cui ne era direttrice Eugenia Scabini. Il libro è: "La famiglia, il genoma che fa vivere la società"
Anche se l’argomento viene trattato dall’autore in maniera infinitamente più ampia di quanto io possa copiare qui sotto, merita - ritengo - comunque concedersi di soffermarsi su quanto riportato.
"C’è una rivoluzione culturale che passa, più precisamente sta drammaticamente tentando di passare, attraverso la ridefinizione di ciò che è maschile e femminile.
Questa rivoluzione riguarda i singoli individui, tutti gli individui, ma ha un bersaglio centrale: la famiglia.
Il motivo è che la famiglia è il luogo generativo e rigenerativo fondamentale per la differenza sessuale.
Essa è il luogo fondamentale perché costitutivo di quel codice simbolico duale su cui si fonda direttamente il pensiero umano. Quel pensiero che presiede alla possibilità stessa di realizzare l’umano in quanto relazione.
Una relazione che sia reciprocità e intersoggettività.
La rivoluzione su accennata mette in causa il senso di sé di ciascuno di noi.
Oggi diventa sempre più difficile rispondere alla domanda ‘chi sono io?’ Dal punto di vista dell’identità sessuata.
In apparenza questo tipo di rivoluzione riguarda elettivamente i ruoli sociali.
Cioè riguarda il come comportarsi in famiglia, a scuola, nel lavoro, con gli amici, in quanto uomini o donne.
Ma la rivoluzione va ben oltre le semplici attribuzioni di ruolo. Investe infatti la raffigurazione innanzitutto delle qualità proprie di ciascun sesso e le reciproche attese nei diversi contesti della vita quotidiana.
Va quindi ben oltre l’idea in apparenza ovvia che uomini e donne debbano avere le stesse opportunità sociali di autorealizzazione, sia in famiglia che fuori.
Il problema sta altrove ed è ben più radicale: sta nel fatto che la società contemporanea si fonda su un razionalismo che non accetta più il mistero. Non accetta il mistero stesso che sta ala base del fatto di essere uomini o donne.
All’interno della famiglia, a parte le evidenti differenze biologiche, non pare che altre differenze siano giustificate o giustificabili se non come lotta fra i sessi.
Ma la diversità fra uomo e donna non risiede nella loro rispettiva funzione riguardo la procreazione. La sessualità ha un contenuto antropologicamente parlando molto più ampio: è condizione per realizzare l’umano attraverso una dualità originaria e questo in tutti gli ambiti della vita.
Benché sovente ci si avvicini parecchio, l’individuo umano non può vivere la propria sessualità come un animale, per il quale la differenza sessuale si riassume totalmente ed esclusivamente sulla propria funzione in vista della riproduzione. La sessualità a livello umano segno ciò che di noi è propriamente umano ed esprime una profonda ed unica unità per ogni singolo individuo tra corpo e spirito.
La società contemporanea mette in causa proprio questa verità quando predica i diritti di non differenziazione di ruoli e di identità sessuali, ovvero quelli di sceglierseli a proprio capriccio.
L’inizio postulato è una distinzione tra sesso e gender.
Il primo indicato come descrittivo di un dato biologico e il secondo di una imposizione culturale.
Quest’ultimo è un termine inglese che sta ad indicare gli aspetti legati a credenze, percezioni, preferenze atteggiamenti, comportamenti e attività svolte in generale da un individuo, a prescindere dalla sua morfologia sessuale.
La lingua italiana, di suo invece, ha un unico termine che indica sia il sex che il gender”.
E qui possiamo notare la diversità culturale di un popolo che, con la sua lingua, adotta categorie determinanti e - come ritiene chi scrive - da difendere da qualunque colonizzazione culturale estranea.
Attraverso l’unicità di termine come appare nella nostra terminologia al riguardo, possiamo apprezzare come il contenuto concettuale stia nel fatto che la sessualità come il gender, negli esseri umani, rispondono ai medesimi requisiti".
Ma, prosegue l’autore: "Essi non sono liberi di fluttuare a piacimento, ma devono trovare senso e modalità relazionali per riferimento all’unità fra sesso e gender della persona umana.
Le differenze vanno collocate in una prospettiva relazionale dove viene esaltata la dignità della persona umana in quanto tale, e in questa dignità, che è unità in sé stessi e con il proprio dato biologico, tutto quanto la caratterizza si possa esprimere in pienezza secondo sé stessa.
I più recenti studi psicologici hanno messo in luce come la dualità corporea si accompagni e si esprima necessariamente in una dualità di codici simbolici.
L’obbiettivo, quindi, non può e non dovrà essere quello della piena reversibilità dei ruoli, dove entrambi i sessi si trovano a perdere qualcosa della loro ricchezza, ma semmai quello della libertà di poter fare le cose della vita in modo diverso, con sensibilità e stili propri.
La dualità originaria, quando non sia strumentalizzata o distorta, appare come una forma dell’umano senza della quale ciò che di specificatamente umano è in ogni uomo o in ogni donna non può emergere.
Tre forze storiche hanno in comune il fatto di voler considerare - per così dire - dall’esterno la differenza di gender rendendola in qualche modo irrilevante.
Innanzitutto, la forza del mercato per i cui obbiettivi è fondamentale un’irrilevanza della differenza ed una equivalenza tra i sessi in funzione della massimizzazione del profitto che discrimina senz’altro la donna.
C’è poi la forza del sistema politico che tende a rendere la cittadinanza statuale come riferita ad un che di totalmente neutro.
Infine, la forza di movimenti sociali libertari che propugnano l’idea di un essere umano avente gli stessi diritti e doveri appellandosi ad un’ideologia egualitaria nella quale la differenza di sesso venga assorbita in quella di gender e quest’ultima lasciata ai gusti personali.
La coppia per essere tale vive del carattere sessuato della relazione solo in quanto mette in gioco l’identità biologica dei partners e i suoi conseguenti vissuti psicologici e spirituali di fronte ai compiti che la stessa relazione in quanto sessuata comporta, a partire dalla procreazione.
Quando, come purtroppo accade, si voglia vivere la famiglia a prescindere dal proprio gender - che coincide con il proprio sesso - si rende irrilevante ovvero in-differente il gender stesso e si entra ipso facto in un latro tipo di relazione: non si tratta più di una famiglia, anche se materialmente osserviamo un gruppo di persone che agisce ‘familiarmente’.
In compenso là dove la famiglia si dissolve, già oggi vediamo venire a galla una società tribale in cui il processo di civilizzazione viene quantomeno messo seriamente in forse. Dietro tale dissoluzione non c’è assolutamente l’eterno conflitto tra i sessi (messo così in vista dal ridondante elenco di ‘femminicidi’) quanto piuttosto l’emergere di un individuo androgino, di gender anonimo, il quale non ha una vera famiglia.
La società non può però sostenere le esigenze della civilizzazione se non configura dei modelli culturali che diano ai due sessi un’identità di gender significativa sufficientemente stabile e definita, lungo il ciclo di vita.
I due sessi hanno e avranno sempre processi interpretativi diversi che assolvono a funzioni diverse.
Occorre smetter di parlare del rapporto fra i sessi come se stessimo assistendo ad un film hollywoodiano. La soap opera che viene messa in scena può attrarre pure una larga audience, ma resta una pura evasione. Nel mondo della gente comune la morfogenesi di gender della famiglia ha ben altro segno e concretezza.
La dualità maschio/femmina non si può vedere in termini antagonistici, bensì come quella struttura che è la vera condizione per la sola relazionalità in cui si dispiega l’umano”.
(immagine: Erik Bulatov, 'Gioconda')