"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

Non è una proposta, solo una amara conclusione, per quanto riguarda l'autore.
Starebbe ad ognuno di noi, soprattutto a chi ha il ruolo di educatore/genitore, trarne le debite conseguenze operative.
No comment per quanto mi riguarda sulle stupide e gratuite accuse di “patriarcato” lanciate senza sapere di cosa si parla.
Oggi, se mai, vige il matriarcato: mariti e uomini in genere essendo totalmente squalificati nella loro qualità di salvatori della relazione madre-figlio. E di aiuto ad apportare ordine, cioè regole, nel tutto indistinto di un mondo fondato esclusivamente sulla scarica istintuale delle proprie pulsioni.

UN PO' di SILENZIO (di Marco Travaglio)

Ci sono momenti in cui vorresti fare l’eremita, senza nessuno che ti chieda di dire la tua…
Questo soprattutto quando una soluzione non c’è oppure è tanto più grande di te.
Per esempio, di fronte al male assoluto nascosto in un ragazzo apparentemente normale che - secondo le indagini - scanna l’ex fidanzata prima che si laurei per poi gettarla in un burrone. Ne parlano i social, le TV, i giornali e quindi bisogna parlarne sempre di più e ogni santo giorno aumentano gli spazi in cui se ne parla, anche se diminuiscono le cose da dire.
I politici ne parlano per rinfacciarsi colpe più o meno vere o proponendo leggi più o meno utili o improvvisando dei mea culpa più o meno ridicoli pur di arraffare un titolo, un sommario, una didascalia che parli di loro.
Ne parlano artisti, scrittori, psicologi. Giornalisti: tutti con la loro panacea pronta all’uso, tutti sicuri che è colpa della famiglia, no, delle madri, no, dei padri, no, della scuola, no, delle leggi (ovviamente ‘bipartisan’) mancanti, in una cacofonia che stona, almeno quanto gli applausi ai funerali.
E rende ancor più prezioso il valore del silenzio.
Dinanzi alla morte, si tace.
Chi crede, prega, chi non crede, riflette, tutti dovrebbero tacere.
Soprattutto se non hanno nulla di utile da dire.
Poi, con calma e sottovoce potrebbero provare a star vicino a chi è genitore, a chi è figlio, a chi è marito, a chi è moglie o fidanzato o fidanzata, a parlargli della fatica della vita, del dolore del fallimento, dello smacco del rifiuto, della noia da bambagia, dell’elaborazione del dolore, del valore di battere la testa e di mordersi la lingua e di frenare le mani, della differenza tra l’amore ed il possesso, fra la realizzazione personale e il successo (o, peggio ancora, la famoseria), della caducità dei sentimenti, del rispetto per la libertà dell’altro, dell’importanza di lasciarlo andare e di rimettersi in gioco, sempre con fatica, con rispetto e senza scorciatoie.
Poi si potranno fare tutti i giri di vite che si vuole, ammesso e non concesso che gli autori di femminicidi uccidano perché ‘non sanno che è vietato’ e si rischia l’ergastolo o poco meno.
E si potranno organizzare tutti i corsi scolastici di ‘educazione all’affettività’. Sempre che si possa insegnarla dalla cattedra di un'aula avulsa da quelli che purtroppo sono i veri educatori dei nostri tempi: i social network, la TV, il cinema, la strada, gli amici e tutti i ‘modelli’ di riferimento che oggi arrivano molto meglio e molto prima di maestri, professori e genitori.
E, alla fine, vincono. Nella cacofonia che ha ucciso il silenzio.