"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

La nostra conoscenza risale ala comune partecipazione ad una realtà cattolica giovanile, allora chiamata GS, poi trasformata in CL.
Dopo il fallimento evidenziatosi, negli anni 2011/12 e seguenti, dell’ideologia imposta da ‘élite al movimento ex-giessino, fallimento sotto gli occhi di tutti per via di processi andati in onda per alcuni anni, fonte di relativo sbeffeggiamento dei valori in cui gli antichi aderenti avevano creduto, una persona ‘normale’ potrebbe stentare a credere che qualcosa di sano ancora potesse esistere relativamente a quell’ambito.
A questo pensavo durante il funerale del mio amico, in una chiesa stracolma di ciellini.
Mentre un sacerdote, del tutto estraneo al gruppo di amici ex-giessini, celebrava la funzione religiosa - sacerdote che non trovava né kitsch né del tutto fuori luogo ostentare una bandiera arcobaleno esattamente dietro l’altare, in primissimo piano, al centro dell’abside - io riandavo col pensiero agli anni della giovinezza. Anni in cui, sia io, che gli astanti, che il defunto, avevamo visto germogliare la nostra aspirazione ad una realtà di vita più umana e più vera di quanto il grande bazar dei movimenti studenteschi degli anni ’70 offriva tutt’intorno a noi.
Riflessioni e pensieri erano tanti e si accalcavano gli uni sugli altri, contribuendo a creare quel senso di spaesamento che, sempre, l’essere dinnanzi alla morte, dà.
In particolare, mi chiedevo come fosse possibile sentire un legame così intenso, a distanza di tanti anni, con il morto e con tutto il coro di persone che lo attorniava lì in chiesa. Io, infatti, da quel coro di persone, mancavo da cinquant’anni.
La risposta che mi davo era: la causa è la verità.
Piccoli personaggi di provincia forse potevamo venir classificati noi studenti di quella cittadina negli anni ’70. Null’altro che banali persone che, però, avevano colto un soffio di affetto reciproco, legato ad un’ amicizia non come quella dei coetanei tutta basata sul possesso del vestito alla moda, sull’esibizione delle proprie prestazioni sportive, e cose simili.
Gente ‘così-così’, che faceva cose ‘così-così’; amava così-così; leggeva libri così-così; nelle foto veniva sempre così-così; sognava poco sognava così-così, ed ogni sera si ritrovava così-così; come cantava allora Roberto Vecchioni.
Ma eravamo comunque personaggi e gente che andava alla ricerca della verità.
Per noi, questa, non era già diventata una parola vuota come i diktat culturali del relativismo - allora avanzante e oggi imperante - esigono (esigerebbero) da tutti noi.
Non avevamo grandi qualifiche culturali o sociali, ma osavamo quanto intellettuali e politicanti -ieri come allora- nemmeno lontanamente potrebbero osare: osavamo essere liberi. Guardare, cioè, le cose secondo uno sguardo integro, non distopico a misura quindi della sola urgenza di imporre i nostri schemi ideologici a tutto e tutti.
Schemi magari ammantati di roboanti idealità, come l’uguaglianza, come il ‘diritto’ alla felicità(quasi la felicità si potesse ottenere tramite rivendicazione sindacale), come il donmilanesismo - che, per valorizzare i piccoli, condanna tutti ad esserlo - come il diritto ad una sessualità che se ne frega di mamma/papà e delle norme della decenza mascherato da amore libero, come l’ostentazione di stili e conoscenze inediti e liberanti per mascherare la voglia di spinelli, e soprattutto, questo ‘borghesismo’ considerato la quintessenza del male che - come invece tutti ben abbiamo ormai capito da tempo - è dentro di noi, e poi, soltanto poi, una ‘struttura’ esterna a noi.
Sì, ieri al funerale, pensavo che - se pure ingenuamente come ingenui eravamo tutti noi, ora ingrigiti, là dentro - solo ciò che abbia avuto a vedere con la verità, in quanto tale, può reggere il tempo così.
E la verità è che eravamo deboli e piccoli, gente così-così, senza grandi prospettive, però eravamo ricchi di una grandissima forza.

Quella forza che - a sua volta - era stata la scintilla scoccata secondo lui ne narra, per Jèsus Carrascosa, detto Carras, dirigente di CL mancato solo due giorni prima del mio amico.
Al funerale, guardano e sentendo tanta gente ormai vintage ma piena di legame, come noi in quel momento, riandavo al racconto della propria ‘conversione-convinzione’ per CL, di Carrascosa.
Egli evidenziava quale fosse il limite esatto imposto a noi degli anni ’70 e a tutti coloro che, come lui stesso, erano stati vittime dell’ideologia.
A tutti coloro che erano stati abbandonati dalla Chiesa postconciliare - che, pure, dichiarava di voler fare il contrario - nella loro ricerca della verità.
A noi, invece, là dentro, noi gente così-così, questa sorte era stata evitata.
Carrascosa, come tanti altri individui generosi, magari proprio quelli cresciuti da Gesuiti, come lui, aveva ricevuto lezioni di ideologia proprio da coloro che - in seno alla società e alla Chiesa, come purtroppo è dato vedere oggi, persino dai più alti scranni - avrebbero dovuto darne di metafisica.
E con metafisica non si intende latinorum o paroloni astratti: si intende “encontrar el principio unitario de la vida, por mirar la realidad con una razionabilidad, con una inteligencia y con una esperanza que serìan imposible sin el”.
Nel corso dell’estate un altro, come era Carrascosa prima di incontrare Giussani e di dire, quindi, quanto appena riportato, sconfitto dell’ideologia - marxista, senza pensare che meno deludente sia quella opposta - durante la presentazione di un suo libro in cui ne narrava ampiamente i risvolti, metteva in risalto come improvvisamente la ‘promessa ‘che gli era stata fatta, da speranza si era mutata in minaccia.
E’ questo il percorso a cui è destinata ogni lettura ideologica del reale: da spinta partorita dal desiderio di cambiare, cioè dalla speranza, alla scoperta dell’impossibilità, davanti alla problematicità del reale, di vederlo mai effettivamente realizzato, questo cambiamento, e, quindi, lo sprofondamento nella paura, nella promessa divenuta minaccia.
Un filosofo italiano, proprio in quegli anni ’70 in cui la mistificazione ideologica di sinistra trionfava, Augusto Del Noce, spiegava ampiamente il come ed il perché dello slittamento da una ragione metafisica ad una ragione ideologica.
Uno slittamento che - una volta scoperto come i grandi sistemi, davanti alla vita concreta con i suoi bisogni reali, si dimostrino impotenti, fa identificare, tout court, la stessa metafisica, cioè uno sguardo consapevolmente rivolto ad un Oltre, ideologia da rottamare essa stessa.
Ma l’ambiguità va sfatata.
L’ideologia di per sé, essendo frutto della mente e delle sue ristrette analisi, ha la pretesa di ‘misurare ‘ il reale.
La metafisica, invece, che si fonda sul riconoscimento oggettivo della creazione dell’uomo ad immagine di Dio, non pretende di misurare nulla, bensì dichiara la necessità per l’uomo di lasciarsi invece misurare.
Solo così, “ogni cosa viene colta nella sua inviolabile dignità e nel trascendente valore delle norme morali naturali”, come ricorda Benedetto XVI in Caritas in veritate.
Solo così, infine, si potrà evitare di ridurre l ‘etica’ in modo ideologicamente discriminatorio.
Solo così infatti anche le grandi strutture dell’economia o della finanza, fondate su un differente sistema morale di riferimento, potranno finalmente rispettare le esigenze intrinseche alla natura umana e della realtà.
Tutto ciò costituisce il ‘principio unitario’ che Carrascosa, ex social-anarco - comunista spagnolo, educato dai Gesuiti (che strano eh?), tanto ha stupito e affascinato - a suo dire - nell’incontrare don Giussani.
E’ solo questo che, contrariamente a quanto gli era sempre stato insegnato (la religione oppio dei popoli), lo porterà a dichiarare che “el hombre religioso es el que vive intensamente la realidad”.
Questa grande evidenza, da duemila anni unica giustificazione dell’esistenza della Chiesa e del sacramento della nostra salvezza che essa ci offre, da tempo, e in particolare in questo nostro disgraziatissimo appena trascorso XX secolo, doveva giungere alla gente attraverso personalità istrioniche come un don Giussani.
E ne siamo grati magari nonostante tutta l’ambiguità riguardo cosa voglia mai dire questo ‘vivere intensamente la realtà’.
Ne ho viste attuate varie interpretazioni, infatti.
Non tutte degne di definirsi precisamente cristiane.