Giustamente rileva che le trasmissioni televisive si possono categorizzare tranquillamente in ‘notiziari’; ‘thriller’; ‘commedie’; ‘inchieste’, ‘sport’; e semplicemente ‘politica’.
Ma il giornalista in questione va oltre: afferma che la dinamica di questo format-politica si configura ormai ad un ‘pari e patta’, destra contro sinistra.
Quando viene fatta una domanda esplicita ad un personaggio di questa cosiddetta politica, ecco che l’intervistato pone a sua volta immediatamente un’altra domanda che ribalti accusa su colui che ha formulato la prima.
Il giornalista prosegue: “Preceduti dall’uso primitivo della smorfia facciale e delle testoline che fanno no, no del codice televisivo berlusconiano, rispetto a quando c’era lui, tuttavia, si registra un’equiparazione verso il basso, che rispecchia i tempi difficili per tutti.
Questo continuo tentativo di dribblaggio della domanda, per autoassolversi ponendo la controdomanda che colga in fallo chi pone le domande per primo, rappresenta un vero e proprio tentativo di condivisione della colpa, in un becero spirito di ‘solidarietà nazionale’.
Ognuno è lesto a contrapporre una cazzata della destra ad una altrettanto corposa della sinistra, pur se un po’ frollata dagli anni”.
Ho dovuto ammettere che questa considerazione così centrata e drammaticamente vera sugli orizzonti angusti, che la politica mostra oggi è ampiamente applicabile ad ambiti come famiglia/Movimenti/ gruppi vari.
Infatti, il fatto di controbattere a chi ci mette in crisi, chiedendoci ragione di un nostro comportamento, con il metodo di un’altrettanta esplicita denuncia di défaillance di chi ci interpella, magari avvenuta cent’anni prima, è, purtroppo una strategia diffusa a qualunque livello.
Nel campo delle relazioni umane, c’è sempre quello che, facendosi forte di dubbia autorevolezza, riesce a non dover mai chiedere scusa, o a cercare di riparare - almeno un po’- del male fatto.
L’autore dell’articolo in questione vede in questo andarsi a rinfacciare a vicenda le colpe, scavando perfino in passati che non sembrano mai passare, un modus operandi che - cercando la pietra dello scandalo sempre riferita ad altri da ‘noi’ - produce “una carambola di responsabilità che, dai governi tecnici rimbalza a quelli della Prima Repubblica per poi ‘sfumare’, ormai prescritta, nella notte dei tempi.
Tanto che due noti comici hanno proposto nel loro siparietto a Di Martedì, di prendersela una volta per tutte con Camillo Benso conte di Cavour”.
Relativamente alle faccende di noi privati cittadini, famiglie, gruppi, lavoratori, la questione potrebbe configurarsi come un prendersela una volta per tutte con… Adamo ed Eva.
E questa, che parrebbe una boutade, è in realtà una grande verità.
A livello storico, di medio termine, senz’altro Cavour ha un’infinità di colpe, come qualunque storico - che non debba suscitare il riso come due tristi comici il martedì sera devono fare- non può che constatare ed ammettere.
Occorrerebbe però, al di là delle battute sbrigative che comunque hanno il merito di evidenziare la vecchia arte dello ‘scaricabarile’, oggi a livelli parossistici nel mondo della politica, una vera ‘critica storica della storiografia’, come diceva Augusto Del Noce.
E cioè una presa d’atto dei limiti e delle tesi sottostanti a tutto quello che ci viene insegnato, innanzitutto dalla scuola, come ‘fatto storico’.
Più leggo e studio, infatti e più mi rendo conto che la storia che quelli della mia età - che a scuola ancora ci andavamo per studiare, non esclusivamente per ‘socializzare’ - hanno studiato, è soltanto una paccottiglia di invenzioni e mascheramenti della realtà, a cominciare, ahimè, dalla favola bella dell’Unità d’Italia.
Una guerra di pura conquista da parte delle ambizioni di casa Savoia, di cui, un mondo legato alla massoneria, ha saputo fare ottimo uso per minare e distruggere quanto possibile dell’antichissima presenza sociale, giuridica e culturale della Chiesa di Roma.
Ma questo è un altro discorso.
Quello che preme evidenziare è che -parlando di noi umile gente qualunque - la necessità di dare sempre la colpa ad un altro è forse condizione stabile ed effettiva degli esseri umani: e ciò non può non portarci ai nostri biblici progenitori.
Anche là, nel bel mezzo di una vita tutta rose e fiori come ci dicono sia il Paradiso, ovvero l’Eden, scattò la molla di voler decidere secondo una propria voglia e poi di rifilare la colpa rigorosamente ad altri.
E così avvenne l’inizio della storia umana, storia trafitta dalla menzogna.
La menzogna maggiore sarebbe però smettere di ricercarla questa colpa originaria.
In questo caso, una colpa mai veramente e totalmente ‘frollata’ dal passare del tempo.
Invece di farci su soltanto della acida ironia senza sbocchi, pur riconoscendo che ognuno si deve far carico delle proprie responsabilità, è altrettanto dovrebbe restar vera questa precedenza della colpa.
La colpa ultima - infatti - è… del serpente.
Un personaggio scomodo, scivolato via dai catechismi con cui pretendiamo di insegnare religione ai nostri bambini (parlo dei bambini i cui genitori pensano ancora ne valga la pena) e che - come si addice all’immagine tramandataci di viscida e scivolosa creatura a forma di rettile - si infila ovunque e mai si lascia afferrare.
Sarebbe tutto più semplice se ognuno riconoscesse quel limite che san Paolo tanto bene descriveva in sé (“Vedo il bene che voglio e faccio il male che non voglio”) e la finissimo di proclamare slogan che - fondati sul vuoto che tutti ci portiamo dentro - dovrebbero farci sperare in un mondo migliore.
Il trionfo invece della menzogna, a parer mio è la cruda quanto inutile constatazione che - se fosse intellettualmente onesto - un altro giornalista sempre in televisione in questi giorni, si è sentito di fare.
Ha mandato in onda una grande slides con l’articolo 48 della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, che ricalca esattamente il trittico ‘Libertà; Uguaglianza; Fraternità’ illuministico rivoluzionario francese.
Perorando davanti al pubblico l’altisonanza delle tre mitiche parole, con uno snobistico senso di pietà per noi sporchi mortali che non siamo all’altezza di questa genialata, nemmeno per un momento si è concesso di pensare che, senza un Fondamento su cui ancorarle, queste fatidiche parole, come del resto la sua arrogante supponenza, non sono che vuote esalazioni d’aria.