Ai Membri della Commissione Teologica Internazionale
Silenzio e contemplazione-caratteristica di S. Bruno- servono per poter trovare nella dispersione di ogni giorno questa profonda, continua unione con Dio. Silenzio e contemplazione:la bella vocazione del teologo è parlare. Questa è la sua missione: nella loquacità del nostro tempo, e di altri tempi, nell’inflazione delle parole, rendere presenti le parole essenziali. Nelle parole rendere presente la Parola,la Parola che viene da Dio, la Parola che è Dio.
Ma come potremmo, essendo parte di questo mondo con tutte le sue parole, rendere presente la Parola nelle parole, se non mediante un processo di purificazione del nostro pensare, che deve soprattutto essere anche un processo di purificazione delle nostre parole? Come potremmo aprire il mondo, e prima noi stessi alla parola senza entrare nel silenzio di Dio, dal quale procede la sua Parola? Per la purificazione delle nostre parole, e quindi, per la purificazione delle parole del mondo, abbiamo bisogno di quel silenzio che diventa contemplazione, che ci fa entrare el silenzio di Dio e così arrivare al punto dove nasce la Parola, la parola redentrice.
Tomaso d’Aquino, con una lunga tradizione, dice che nella teologia Dio non è l’oggetto del quale parliamo. Questa è la nostra concezione normale. In realtà Dio non è l’oggetto; Dio è il soggetto della Teologia. Chi parla nella teologia, il soggetto parlante, dovrebbe essere Dio stesso. E il nostro parlare e pensare dovrebbe solo servire perché possa essere ascoltato, possa trovare spazio nel mondo, il parlare di Dio, la Parola di Dio... e così di nuovo ci troviamo invitati a questo cammino della rinuncia a parole nostre; a questo cammino della purificazione, perché le nostre parole siano solo strumento mediante il quale Dio possa parlare, e così Dio sia realmente NON oggetto, ma soggetto della Teologia. In questo contesto mi viene in mente una bellissima parola della Prima lettera di S. Pietro, nel primo capitolo, versetto 22. In latino suona così: “Castificantes animas nostras in oboedientia veritatis” l’obbedienza alla verità dovrebbe ‘castificare’ la nostra anima, e così guidare alla retta parola e alla retta azione. In altri termini, parlare per trovare applausi, parlare orientandosi a quanto gli uomini vogliono sentire, parlare in obbedienza alla dittatura delle comuni opinioni, è considerato come una specie di prostituzione’ della parola e dell’anima. La “castità” cui allude l’Apostolo è non sottomettersi a questi standard, non cercare gli applausi, ma cercare l’obbedienza alla verità… questa disciplina anche dura dell’obbedienza alla verità che ci fa collaboratori della verità, bocca della verità,perché non parliamo noi in questo fiume di parole di oggi, ma realmente purificati e resi casti dall’obbedienza alla verità, la verità parli in noi… Questo mi fa pensare a S. Ignazio di Antiochia e a una sua bella espressione: ”Chi ha capito le parole del signore capisce il suo silenzio perché il signore va conosciuto nel Suo silenzio”. L’analisi delle parole di Gesù arriva sino ad un certo punto, MA rimane nel nostro pensare. Solo quando arriviamo a quel silenzio del signore, nel suo essere col padre da cui provengono le parole, possiamo cominciare a capire la profondità di queste parole. Le parole di Gesù sono nate nel suo silenzio sul Monte, come dice la Scrittura, nel suo essere col Padre... Il Signore ci invita, PARLANDO, di salire con Lui sul Monte, e nel suo silenzio, imparare così, di nuovo, il vero senso delle parole..
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Giobbe aveva gridato a Dio aveva anche fatto la lotta con Dio di fronte alle evidenti ingiustizie con le quali lo trattava.
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e così dice: “Due volte ho parlato, non continuerò” Silenzio davanti alla grandezza di Dio, perché le parole nostre diventano troppo piccole. Questo mi fa pensare alle ultime settimane di vita di S. Tommaso d’Aquino. In queste ultime settimane non a più scritto,non ha più parlato. I suoi amici gli chiedevano:”Maestro perché non parli più, perché non scrivi?” E lui dice:”Davanti a quanto ho visto adesso tutte le mie parole mi appaiono come paglia” Il grande conoscitore di Tommaso, il Pdre Jean-Pierre Torrel ci dice di non intendere male queste parole.La paglia NON è niente. La paglia porta il grano e questo è il grande valore della paglia. Porta il grano.. E anche la paglia delle parole rimane valida come portatrice del grano. Ma questo è anche per noi UNA RELATIVIZZAZIONE del nostro lavoro e, insieme, una VALORIZZAZIONE del nostro lavoro. E’ anche un’INDICAZIONE perché il nostro modo di lavorare, la nostra paglia, porti realmente il grano della Parola di Dio.
Il Vangelo finisce con le parole :”Chi ascolta voi ascolta me” Che ammonizione e che esame di coscienza queste parole! E’ VERO CHE CHI ASCOLTA ME, ASCOLTA REALMENTE IL SIGNORE??? Preghiamo e lavoriamo perché sia sempre più vero che chi ascolta noi ascolta Cristo. Amen!”
(dall’Osservatore del 7 Ott.2006)