Essa è diventata, così, soprattutto un ‘pasto comunitario’.
In questo modo il concetto dell’Ultima Cena di Gesù viene espresso in modo impreciso, se non completamente sfalsato.
Al proposito ascoltiamo cosa dice l’abate Bouyer: "L’idea che una celebrazione versus populum abbia potuto essere una celebrazione più fedele a quella originaria dell’ultima Cena, non ha alcun fondamento relativamente a quello che poteva essere un banchetto cristiano, o anche non cristiano, dell’antichità.
Mai, infatti, colui che presiedeva tali banchetti ebbe il suo posto di fronte agli altri commensali: tutti sedevano, o erano distesi, dalla stessa parte cioè lungo il lato convesso di un tavolo, a forma di sigma o di ferro di cavallo.
Da nessuna parte, nell’antichità cristiana, avrebbe potuto prendere forma l’idea che chi presiedeva il banchetto eucaristico dovesse trovarsi pertanto collocato versus populum.
Il carattere comunitario di un banchetto era determinato piuttosto dalla disposizione esattamente opposta, mediante il fatto, cioè, che tutti i commensali si trovassero dalla stessa parte del tavolo".
A questa definizione filologica esatta della tipologia di pasto antico, va comunque aggiunto che l’Eucarestia dei cristiani non può essere descritta in maniera adeguata dal concetto di ‘convito’.
Il Signore infatti, ha, sì, istituito la novità del culto cristiano nel contesto di un banchetto (pasquale) ebraico, ma ha ordinato di ripetere solo questa ‘novità’, non il banchetto in quanto tale!
La novità, quindi, ben presto si è staccata dal contesto originario e ha trovato forma propria e adeguata innanzitutto prestabilita dal fatto che l’Eucarestia rinvia alla Croce, quindi alla trasformazione del sacrificio del Tempio nel culto conforme al Logos.
Ne seguì poi che la liturgia squisitamente sinagogale della Parola, rinnovata ed approfondita nel senso cristiano, si fondesse assieme al memoriale della Morte e Resurrezione di Cristo, venendo così a costituire l’Eucarestia che - in senso vero e proprio - doveva realizzare la fedeltà all’ordine dato. “Fate questo in memoria di Me”.
Questa nuova forma, nel suo complesso, non può essere ascritta al concetto di ‘banchetto’ o convito, ma viene definita dal nesso tra Tempio e sinagoga, Parola e Sacramento, dimensione cosmica e dimensione storica.
Come ha dimostrato il professor Vogel, mai e in nessun luogo prima del XVI secolo si trova un benché minimo indizio che si prestasse anche solo la minima attenzione alla questione se il sacerdote celebrasse con il popolo davanti a sé o dietro di sé.
L’unica cosa a cui si dava importanza è sempre stato che il sacerdote recitasse la preghiera eucaristica, come anche tutte le altre preghiere, rivolto ad Oriente. E con lui, tutta l’assemblea.
Il convito-divenuto un concetto ‘normativo’ oggi quasi ovunque- deriva dalla perdita di consapevolezza di questo fatto e solo così si può comprendere come la preghiera originaria possa venire etichettata come un ‘celebrare verso la parete’, ovvero’ voltare le spalle al popolo’.
Oggi, invece, - così facendo - si è introdotta una vera ‘clericalizzazione ‘ del culto, quale mai si era avuta in precedenza: il sacerdote - o ‘presidente dell’assemblea’ - come si preferisce chiamarlo- diventa oggi il vero ed unico punto di riferimento di tutta la celebrazione.
Tutto converge su di lui.
È lui che si deve vedere, è alla sua azione che si prende parte, è a lui che si risponde. La sua ‘creatività’ sorregge tutto.
Si tenta allora di ‘ridimensionare’ questo ruolo creato ed inventato così arbitrariamente, distribuendo molteplici attività ed affidando la -sempre ‘creativa - preparazione della celebrazione a gruppi che vogliono e devono collaborare, esibendo poi, in sintesi, soprattutto se stessi.
L’attenzione così è sempre meno rivolta a Dio e diventa sempre più importante ciò che fanno le persone che qui si incontrano.
L’essere sacerdote rivolto alla comunità diventa drammaticamente la configurazione di una comunità come ‘cerchio chiuso’.
Il sacerdote cristiano non era ritenuto così importante, come anche non lo era nel culto ebraico che, nella sinagoga, imponeva a tutti in contemporanea di celebrare rivolti verso Gerusalemme.
Celebrare era, nel culto cristiano, un analogo orientamento comune di popolo e sacerdote, consapevoli di procedere assieme verso il Signore.
Essi, evitando di chiudersi a cerchio su sé stessi, non privilegiano il guardarsi reciproco, ma - come popolo di Dio in cammino - si avviano verso Oriente, verso Cristo che viene, che ci sta venendo incontro.
Qui non si tratta di qualcosa di accidentale, ma di molto essenziale.
Che modifica la coscienza e la consapevolezza del fedele riguardo quanto sta accadendo e riguardo il contenuto vero della propria fede.
Non è importante guardare il sacerdote: è importante guardare insieme al Signore.
Non si deve trattare di un ‘dialogo’, bensì di un’adorazione comune.
Non è il cerchio che corrisponde all’essenza di ciò che avviene durante la celebrazione eucaristica, ma lo è il comune incamminarsi in un orientamento comune.
La comune narrazione retorica invalsa oggi afferma che, quando gli uomini ed il sacerdote si guardano reciprocamente, essi vedrebbero proprio l’immagine di Dio nell’uomo e quindi il giusto orientamento della preghiera sarebbe gli uni verso gli altri.
È difficile credere seriamente a questa motivazione: l’immagine di Dio, infatti, non la si vede così facilmente nell’uomo.
L’immagine di Dio nell’uomo non è cosa che si possa ‘fotografare’, o che si possa vedere con un semplice sguardo di tipo fotografico.
Certo che la si può vedere, ma solo con lo sguardo nuovo della fede.
È possibile vederla così come si può vedere in una persona la bontà, la rettitudine, la verità interiore, l’umiltà, l’amore - tutte cose che ci rendono simili a Dio.
Ma proprio per fare questo occorre apprendere un nuovo modo di vedere, ed è per questo che c’è l’Eucarestia.
L’Oriente fu posto in relazione con il segno della Croce ben presto nell’avventura della fede cristiana.
La Croce, in quanto tale, è l’Oriente, che ci annuncia il ritorno del nostro Signore.
Dove non sia possibile rivolgersi concretamente verso Oriente, la Croce può servire come Oriente interiore della fede.
Per questo, nelle chiese dove si celebra versus populum, la Croce dovrebbe almeno stare al centro dell’altare ed essere, lei, il punto focale verso cui va a convergere lo sguardo sia del sacerdote sia della comunità in preghiera.
L'antica sollecitazione che era nella preghiera di avvio alla celebrazione dell’Eucarestia invitava sapientemente con la formula ”Conversi ad Dominum”.
Tra i fenomeni veramente assurdi dei nostri giorni, annovero il fatto che la croce viene collocata al lato dell’altare, per essere sicuri che lo sguardo possa correre libero sul… sacerdote!
Ma, la Croce, è forse un disturbo per l’Eucarestia?
Forse, il sacerdote è più importante del Signore?"
(da J. Ratzinger, La natura della Liturgia, Opera omnia, vol. XI,)