"Ed ecco la mia vita
Giunta sino all’orlo
Come un vaso d’alabastro
Infrango innanzi a Te
"

Boris Pasternák

La Pasta Cruda

di Carla Vites da il Corriere della sera

Gentile direttore, 
leggo che taluni giornali dedicano un delicato pensiero ai detenuti, in particolare a quelli di San Vittore, dove attualmente si trova mio marito Antonio Simone per le note vicende. Il mio pensiero, naturalmente sempre vicino alla persona di mio marito, dopo la notizia Ansa che parla dei 5 anni richiesti dal pm per Pierangelo Daccò, non può non andare in contempo all'altrettanto ormai noto faccendiere.

Gli devo qualche pranzo, senz’altro pochi rispetto alla media accettata da molti altri personaggi che un tempo parevano fare a gara per essere partecipi dei suoi banchetti. Gli devo anche, in questo momento in cui tutti lo guardano con riprovazione, e non mi tolgo dal gruppo, quel nomignolo con cui mi salutava: «zia», forse a riprova di quanto «antiquata » potesse essere la mia presenza in simili trendissimi contesti, io infatti «sapevo» di «fuori tempo massimo» in mezzo a tanta bella gente felice di intrattenersi su aragoste, champagne e vacuità verbali varie. Gli devo soprattutto, come dice Ionesco nel suo bellissimo «Tuer sans gages», che io non posso non volergli bene.
Perché era ed è commovente se non fosse anche penalmente rilevante da quel che leggo, tutto quel suo affaccendarsi, darsi da fare a esibire alte competenze culinarie, intrattenersi con gli chef migliori sulla piazza, discutere e offrire vini secondo lui sempre senza confronti. Perché? Perché li aveva scelti lui. A me incontrarlo dava sempre la sensazione di una disperazione quieta e totale: cosa chiedeva a noi, a tutti noi, cardinali, assessori, direttori generali, presidenti di regione, attori comici, casalinghe, primari, amanti e concubine e chi più ne ha più ne metta (perché occorre riconoscerlo, alle cene di Daccò c'erano TUTTI)?
Questa era ed è adesso più che mai, dopo la sua richiesta di condanna, la mia domanda inconfessata. Cosa permetteva, altrettanto disperatamente, ai suoi ospiti di non avere nulla da eccepire, qualunque perla di saggezza il piccolo faccendiere di Sant’Angelo Lodigiano lasciasse cadere?
Dove era l’indignazione, legittima sia chiaro, che oggi tutti ci piglia a fronte delle news giornalistiche, quando lui decretava (e cucinava) che gli spaghetti dovessero essere mangiati al dente, ma così al dente da risultare completamente crudi e intanto che a pranzo ce li ammanniva tutti si ingollavano di robaccia dura senza fiatare, tranne quell’unica fantastica volta in cui, al mio disgusto impietrito dal silenzio altrui, porse un’insperata mano il bimbetto di 6 anni che esclamò esterrefatto: «Ma la pasta fa schifo, è cruda!».
E ridendo si dovette ammettere che, forse, la pasta non era proprio mangiabile. Io ricordo la pasta cruda di Daccò oggi che altri detenuti si astengono dal cibo e quando era il momento di farlo sul serio invece se ne guardavano bene. Che dire? Io mi ricordo di te Piero e ti ringrazio di quei piccoli scampi di vita passata che si porta via per sempre anche un po' della nostra vita.